Non è cosa vostra
Manifesto
di Libertà e Giustizia per la Costituzione
a firma di
Gustavo Zagrebelsky
Da anni,
ormai, sotto la maschera della ricerca di efficienza si tenta di cambiare il
senso della Costituzione: da strumento di democrazia a garanzia di oligarchie.
Non dobbiamo perdere di vista questo, che è il punto essenziale. Non è in gioco
solo una forma di governo che, per motivi tecnici, può piacere più di un’altra.
L’uguaglianza, la giustizia sociale, la protezione dei deboli e di coloro che la crisi ha posto ai margini della società, la trasparenza del potere e la responsabilità dei governanti sono caratteri della democrazia, cioè del governo diffuso tra i molti. L’oligarchia è il regime della disuguaglianza, del privilegio, del potere nascosto e irresponsabile, cioè del governo concentrato tra i pochi che si difendono dal cambiamento, sempre gli stessi che si riproducono per connivenze e clientele. Parlando di oligarchie, non si deve pensare solo alla politica, ma al complesso d’interessi nazionali e internazionali, economico-finanziari e militari, che nella politica trovano la loro garanzia di perpetuità e i loro equilibri.
L’uguaglianza, la giustizia sociale, la protezione dei deboli e di coloro che la crisi ha posto ai margini della società, la trasparenza del potere e la responsabilità dei governanti sono caratteri della democrazia, cioè del governo diffuso tra i molti. L’oligarchia è il regime della disuguaglianza, del privilegio, del potere nascosto e irresponsabile, cioè del governo concentrato tra i pochi che si difendono dal cambiamento, sempre gli stessi che si riproducono per connivenze e clientele. Parlando di oligarchie, non si deve pensare solo alla politica, ma al complesso d’interessi nazionali e internazionali, economico-finanziari e militari, che nella politica trovano la loro garanzia di perpetuità e i loro equilibri.
Ora, di
fronte alle difficoltà di salvaguardare questi equilibri e alla volontà di
rinnovamento che in molte recenti occasioni si è manifestata nella società
italiana, è evidente la pulsione che si è impadronita di chi sta al vertice
della politica: si vuole “razionalizzare” le istituzioni in senso oligarchico.
Invece di aprirle alla democrazia, le si vuole chiudere o, almeno, congelare.
L’incredibile decisione di confermare al suo posto il Presidente della
Repubblica uscente è l’inequivoca rappresentazione d’un sistema di complicità
che vuole sopravvivere senza cambiare. L’ancora più incredibile applauso,
commosso e grato, che ha salutato quella rielezione – rielezione che a
qualunque osservatore sarebbe dovuta apparire una disfatta – è la dimostrazione
del sentimento di scampato pericolo. Ogni sistema di potere a rischio, o per
incapacità di mediare le sue interne contraddizioni o per la pressione esterna
da parte di chi ne è escluso, reagisce con l’istinto di sopravvivenza. Ma le
riforme, in questo contesto, non possono essere altro che mosse ostili. Per
questo, di fronte alla retorica riformista, noi diciamo: in queste condizioni,
le vostre riforme non saranno che contro-riforme e il fossato che vi separa
dalla democrazia si allargherà. Contro gli accordi che nascondono
contro-riforme, noi, per parte nostra, useremo tutti gli strumenti per
impedirle e chiediamo a coloro che siedono in Parlamento di prendere posizione
con chiarezza e impegnativamente e di garantire comunque la possibilità per gli
elettori di esprimersi con il referendum, se e quando fosse il momento.
Soprattutto,
a chi si propone di cambiare la Costituzione si deve chiedere: qual è il
mandato che vi autorizza? Il potere costituente non vi appartiene affatto.
Siete stati eletti per stare sotto, non sopra la Costituzione. Se pretendete di
stare sopra, mancate di legittimità, siete usurpatori. Se proprio non vogliamo
usare parole grosse, diciamo che siete come la ranocchia che cerca di gonfiarsi
per diventare bue. Non è la prima volta. E’ già accaduto. Ma ciò significa
forse che ciò che è illegittimo sia perciò diventato legittimo?
Per
questo, difenderemo la Costituzione come cosa di tutti e ci opporremo a coloro
che la considerano cosa loro. La costituzione della democrazia è, per così
dire, il vestito di tutta la società; non è l’armatura del potere di chi ne
dispone. La mentalità dominante tra i tanti, finora velleitari, “costituenti”
che si sono succeduti nel tempo nel nostro Paese, è stata questa: di fronte
alle difficoltà incontrate e al discredito accumulato, invece di cambiare se
stessi, mettere sotto accusa la Costituzione. La colpa è sua! Non sarà invece
che la colpa è vostra o, meglio, della vostra concezione della politica e degli
interessi che vi muovono?
Su un
punto, poi, deve farsi chiarezza per evitare gli inganni. Chi vuol cambiare,
normalmente, è un innovatore e le novità sono la linfa vitale della vita
politica. Per questo, gli innovatori godono d’una posizione pregiudiziale di
vantaggio. Ma, esiste anche un riformismo gattopardesco di segno contrario: si
può voler cambiare le istituzioni per bloccare la vita politica e salvaguardare
un sistema di potere in affanno. Allora, il movimentismo istituzionale equivale
alla stasi politica. La stasi solo apparentemente è pace: è la quiete prima
della tempesta.
*
* *
Anche noi
siamo per la pace; vediamo che il nostro Paese ha bisogno di pacificazione, pur
se esitiamo a usare questa parola, corrotta ormai dall’abuso. Sappiamo però,
anche, che la pace è esigente, molto esigente. Non può esistere senza
condizioni. Dice la Saggezza Antica: “su tre cose si regge il mondo: la
giustizia, la verità e la pace”. E commenta così: in realtà sono una cosa sola,
perché la giustizia si appoggia sulla verità e alla giustizia e alla verità
segue la pace. La pace è la conseguenza della verità e della giustizia.
Altrimenti, pacificare significa solo zittire chi vuole verità e giustizia, per
nascondere segreti, inganni e ingiustizie e continuare come prima. Non è questa
la pace di cui il nostro Paese ha bisogno.
Non siamo
né i velleitari né i giacobini che ci dipingono. Non crediamo affatto al regno
perfetto della Verità e della Giustizia sulla terra. Sappiamo bene che la
politica non si fa con i paternoster e temiamo i fanatici della virtù rigeneratrice. Ma da
qui a tutto accettar tacendo, il passo è troppo lungo. Siamo disposti alla
pacificazione, ma a condizione che, nelle forme e con i mezzi della democrazia,
si abbia come fine la ricerca della verità e la promozione della giustizia.
Altrimenti, pacificazione è parola al vento. La pacificazione non è un
sentimento o una predica, ma è una politica. È, dunque, una cosa molto concreta,
difficile e impegnativa, perché non significa stare tutti insieme in un patto
di connivenza. Significa combattere le zone oscure del potere, le sue
illegalità, i suoi privilegi e le sue immunità; significa operare per la
giustizia in favore del riequilibrio delle posizioni sociali, della riduzione
delle disuguaglianze, dei diritti dei più deboli, di coloro che la crisi
economica ha ridotto allo stremo, spingendoli ai margini della società. Solo
questa è pacificazione operosa e veritiera.
Si dice
che le “riforme istituzionali e costituzionali” hanno questo scopo. Ma, noi
temiamo che, dietro alcune riforme “neutre”, semplificatrici e
razionalizzatrici (numero dei parlamentari, province, bicameralismo), ve ne
siano altre, pronte a saltar fuori quando se ne presenti l’occasione propizia,
le quali con la pacificazione non hanno a che vedere. Piuttosto, hanno a che
vedere con ciò che si denomina “normalizzazione”.
*
* *
La
procedura. Esiste, nella Costituzione (art.
138) una procedura prevista per la sua “revisione”. Ma oggi se ne immagina
un’altra, farraginosa e facente capo a un’assemblea, chiamata “convenzione”. Si
sta cercando la via per una spallata per la quale le procedure ordinarie, per
la volontà impotente delle forze politiche, non sono sufficienti? Già il nome
induce al dubbio che di ben altro che di una “revisione” si tratti. Le
“convenzioni costituzionali” (a iniziare da quella di Filadelfia del 1787)
possono essere convocate con limitati compiti riformatori, ma poi prendono la
mano e pretendono di essere “costituenti”, cioè di scrivere nuove costituzioni.
Il fatto poi che qualcuno abbia fatto riferimento a una “Commissione dei 75”,
come la “Commissione per la Costituzione” che elaborò ex novo la vigente
Costituzione del 1947, non fa che rafforzare questa supposizione, confermata
dal fatto che ritorna il linguaggio e la mentalità della “grande riforma”. Par
di capire che si voglia la riscrittura ex novo dell’architettura della politica.
L’odierna procedura – da quel poco che si capisce e dal molto che non si
capisce – è un miscuglio in cui sono messi insieme parlamentari ed “esperti”,
scelti dai partiti, presumibilmente in proporzione alle forze che compongono il
Parlamento. Il prodotto dovrebbe passare per le commissioni “affari
costituzionali” e giungere alle Camere, separate o riunite (presumibilmente per
superare l’ostilità del Senato), per concludersi con l’approvazione, non senza
una concessione alla democrazia del web. Il voto finale dovrebbe essere un
“prendere o lasciare” (su tutto il “pacchetto” o sulle singole parti, non si
sa), senza possibilità di emendamento. Poiché un tale procedimento è totalmente
estraneo alla Costituzione vigente, le è anzi contrario, s’immagina che poi,
con una legge costituzionale si ratificherà l’accaduto. Non è nemmeno il caso
di commentare in dettaglio questo pasticcio annunciato: la legge costituzionale
di ratifica ex
post non è essa stessa la confessione che quel che intanto si fa è fuori della
Costituzione? i “garanti della Costituzione” non hanno nulla da eccepire? la
convenzione nascerebbe come proiezione di un parlamento eletto con una legge
elettorale che, col premio di maggioranza, altera profondamente la
rappresentanza, ma non s’è sempre detto che le assemblee con compiti
costituenti devono essere “proporzionali”? gli “esperti”, scelti dai partiti,
saranno dei “fidelizzati”? il loro compito non si ridurrà alla “copertura”
delle posizioni di chi li ha scelti con quello scopo? come si esprimeranno: con
una voce sola, che fa tacere i dissidenti, o con più voci? se le opinioni
saranno diverse – come necessariamente dovrà essere se gli “esperti” saranno
scelti senza preclusioni – che cosa aggiungerà il loro lavoro a un dibattito
che, tra gli esperti, dura già da più di trent’anni? se saranno chiamati a votare,
cioè a scegliere, non avremmo allora dei tecnici chiamati a esprimersi
politicamente? in fine, come potrebbero i parlamentari degnamente accettare
l’umiliazione del voto bloccato “sì-no” sulle proposte della Convenzione?
Questi arzigogoli contraddittorii non sono forse il segno della confusione in
cui si caccia la volontà, quando è impotente?
Il
presidenzialismo.
Nel merito della riforma, ancora una volta, dietro le quinte s’affaccia la
volontà di presidenzialismo: “semi” o intero. L’argomento sul quale, da ultimo,
si basano i presidenzialisti, è il seguente: i tempi della presidenza
Napolitano hanno visto una trasformazione “di fatto” dell’ordinamento, in
questo senso. Non è allora naturale che si costituzionalizzi, regolandolo,
quanto è già avvenuto? A questo riguardo, però, occorre distinguere. Una cosa è
l’espansione dell’azione presidenziale utile a preservare le istituzioni
parlamentari previste dalla Costituzione, nel momento della loro difficoltà, in
vista del ritorno alla normalità. Altra cosa è l’azione che prelude a
trasformazioni per instaurare una diversa normalità. Queste contraddicono
l’obbligo di fedeltà alla Costituzione che c’è, obbligo contratto da chi fa
parte delle istituzioni. Aut, aut. Non sono rispettosi dei doveri
costituzionali presidenziali, e del Presidente medesimo, i sostenitori
dell’avvenuta trasformazione della “costituzione materiale”. Il “garante della
Costituzione” agisce per preservarla o per trasformarla?
Noi
temiamo che il presidenzialismo, quali che siano le sue formulazioni e i
“modelli” di riferimento, nel nostro Paese non sarebbe una semplice variante
della democrazia. Si risolverebbe in una misura non democratica, ma
oligarchica. Sarebbe, anzi, la costituzionalizzazione, il coronamento della
degenerazione oligarchica della nostra democrazia. Sarebbe la risposta
controriformista alla domanda di partecipazione politica che si manifesta nella
nostra società al tempo presente. L’investitura d’un uomo solo al potere,
portatore e garante d’una costellazione d’interessi costituiti, non è
precisamente l’idea di democrazia partecipativa che sta scritta nella
Costituzione, alla quale siamo fedeli.
Controlli. Il senso concreto del
presidenzialismo che viene proposto in questa fase della nostra vita politica
si chiarisce minacciosamente anche con riguardo ad altri due temi all’ordine
del giorno dei riformatori costituzionali: l’autonomia della magistratura e la
libertà dell’informazione. Ogni oligarchia ha bisogno di organizzare e gestire
il potere in maniera nascosta, segreta. Ma la democrazia è il regime in cui il
potere pubblico è esercitato in pubblico. La pubblicità delle opere dei
governanti, è la condizione della loro responsabilità. Il potere non
responsabile è autocratico, non democratico. Qual è il rimedio contro la chiusura
del potere politico su se stesso? È la conoscenza veritiera dei fatti. E quali
sono gli strumenti di tale conoscenza? Le indagini giudiziarie e le inchieste
giornalistiche. Per nulla sorprendente è che chiunque si trovi ad esercitare un
potere oligarchico sia ostile alla libertà delle une e delle altre, quando
forse, invece, trovandosi all’opposizione, l’aveva difesa a spada tratta. Nulla
di sorprendente: non sorprendente, ma certamente inquietante la concomitanza di
proposte restrittive dell’azione giudiziaria e giornalistica con i progetti di
riforma del sistema di governo. Chi ha a cuore la democrazia non può ragionare
secondo la logica contingente della convenienza, ma deve difendere la libertà
della pubblica opinione, indipendentemente dal fatto che questa libertà possa
giovare o nuocere a questa o quella parte, a questi o quegl’interessi.
La
legge elettorale. La riforma della legge vigente è
riconosciuta come emergenza democratica, da tutti e non da oggi. Dopo che la
Corte costituzionale, con l’improvvida sentenza che aveva dichiarato
inammissibile il referendum che avrebbe ripristinato la legge precedente
(soluzione realisticamente prospettata, fin dall’inizio, da Libertà e
Giustizia), tutti
dissero in coro: riforma elettorale, fatta subito con legge. Si è visto. Anche
oggi si ripete la stessa cosa, ma con quali prospettive? Esiste una convergenza
di vedute in Parlamento? È difficile crederlo e già emergono le resistenze. I
due maggiori aspetti critici della legge attuale, dal punto di vista della democrazia,
sono l’abnorme premio di maggioranza e le liste bloccate. Ma il premio di
maggioranza farà gola ai due raggruppamenti maggiori che, sondaggi alla mano,
possono sperare di avvalersene. Le liste bloccate (i parlamentari “nominati”)
sono nell’interesse delle oligarchie di partito e degli stessi membri attuali
del Parlamento, che possono contare sulla ricandidatura facile, tanto più in
mancanza d’una legge sulla democrazia nei partiti, anch’essa sempre invocata
(subito la legge!) quando scoppia qualche scandalo. Dal punto di vista della
funzionalità o governabilità del sistema, occorrere poi eliminare il diverso
metodo di attribuzione del premio di maggioranza nelle due Camere, ciò che ha
determinato la vittoria di un partito nell’una, e la sua sconfitta nell’altra.
Il ritorno al voto con questa incongruenza sarebbe come correre verso il
disastro, verso il suicidio della politica. Ma anche a questo proposito, non si
può essere affatto sicuri che calcoli interessati, questa volta non a vincere
ma impedire ad altri di vincere, non abbiano alla fine la meglio. Il Capo dello
Stato ha minacciato le sue dimissioni, ove a una riforma non si addivenga.
Altri immaginano una riforma imposta dal Governo con decreto-legge. Sono
ipotesi realistiche? Possiamo davvero immaginare che un Presidente della
Repubblica, che porti le responsabilità inerenti alla sua carica, al momento
decisivo sarebbe pronto a sottrarvisi, precipitando nel caos? Quanto al
Governo, possiamo credere ch’esso possa agire facendo tacere al suo interno le
divisioni esistenti tra le forze parlamentari che lo sostengono, le quali
sarebbero comunque chiamate a convertire in legge il decreto (senza contare –
ma chi presta più attenzione a questi dettagli? – che la decretazione d’urgenza
è vietata in materia elettorale).
*
* *
E
allora?
C’è da arrendersi a questa condizione crepuscolare della democrazia? Al
contrario. C’è invece da convocare tutte le energie disponibili, dovunque esse
si possano trovare, proprio come abbiamo cercato di fare con questa pubblica
manifestazione. Per raccogliere in un impegno e in un movimento comune la
difesa e la promozione della democrazia costituzionale che, per tanti segni, ci
pare pericolare. Dobbiamo crescere fino a costituire una massa critica di cui
non sia possibile non tenere conto, da parte di chi cerca il consenso e chiede
il nostro voto per entrare nelle istituzioni. Per questo dobbiamo riuscire a
spiegare ai molti che la questione democratica è fondamentale; che non possiamo
rassegnarci. Essa riguarda non problemi di fredda ingegneria costituzionale da
lasciare agli esperti, ma la possibilità, da tenere ben stretta nelle nostre
mani, di lavorare e cercare insieme le risposte ai problemi della nostra vita.
Domandare pace, lavoro, uguaglianza e giustizia sociale, diritti individuali e
collettivi, cultura, ambiente, salute, legalità, verità e trasparenza del
potere, significa porre una domanda di democrazia. Non che la democrazia
assicuri, di per sé, tutto questo. Ma, almeno consente che non si perda di
vista la libertà e la giustizia nella società e che non ci si consegni inermi
alla prepotenza dei più forti.
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