di Laura Maria Di Forti
Le era sempre piaciuto andare a scuola. Ricordava il sorriso della maestra, i visi delle compagne di classe e il momento magico dell’intervallo, quei dieci minuti in cui si poteva chiacchierare e persino giocare a Un due tre stella.
E lei, Miriam, era piena di allegria e aveva deciso di fare l’insegnante da grande e di spiegare la storia e la matematica, anche se la materia che più la appassionava era la geografia.
Sognava, Miriam, sognava paesi lontani, spiagge, deserti e montagne invalicabili, vette imbiancate e ghiacciai sperduti dei poli, solitari baluardi di un mondo ancora inesplorato. E pensava all’Africa, terra magnifica dai tramonti di fuoco e alle pagode asiatiche, alle balene e alle notti boreali.
Era deciso. Da grande avrebbe attraversato l’oceano, avrebbe navigato sui grandi fiumi africani e scoperto cascate e con una macchina fotografica avrebbe immortalato le vette più alte della Terra.
Miriam sognava ma sapeva anche che, prima, avrebbe dovuto studiare tanto per meritare bei voti. Bisogna sempre faticare per ottenere dei buoni risultati! E allora perché non poteva andare più a scuola? Persino l’insegnante privata non era più venuta a casa a farle fare i compiti. Si chiamava Rebecca ed era improvvisamente sparita, svanita nel nulla, volatilizzata, sì, come se avesse preso le ali e si fosse librata nell’aria, leggera come una piuma e invisibile come un sospiro.
Qualcuno, pare, aveva delle idee strane, bizzarre ma anche assurde, a dirla tutta. Quelli come lei a scuola non dovevano andare e neanche potevano insegnare. Suo padre era stato da tempo licenziato e Paolina, la ragazza che andava a casa ad aiutare sua madre nelle faccende domestiche, non veniva da tempo. Se ne era andata via piangendo e la mamma le aveva regalato una collana d’argento. Perché non ci dimentichi, le aveva detto con un sorriso triste.
E ora vivevano lì, in una delle stanze del monastero dove dei monaci silenziosi avevano eretto un muro e aperto una porta piccola, quasi invisibile. Talvolta lei e suo fratello giocavano nella grande biblioteca del monastero dove centinaia di libri attiravano la sua attenzione e dove Frate Lorenzo insegnava loro italiano e storia, una storia molto diversa però da quella che insegnavano nelle scuole.
Erano bravi i frati, li lasciavano recitare il Talmud con la kippah in testa e procuravano loro il cibo, buon cibo anche se non Kosher. Ma, come diceva suo padre, in certi momenti bisogna chiudere un occhio e le regole possono essere violate perché la vita, la vita è santa.
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