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(AdnKronos) |
(Angelo Perrone) Il recente annullamento del concerto del maestro Valery Gergiev alla Reggia di Caserta riaccende un dibattito antico: quale sia il rapporto tra arte e politica e, soprattutto, quando l'espressione artistica, intrinsecamente libera e universale, si degrada a propaganda, perdendo la sua purezza.
La vicenda, che ha visto contrapporsi il governatore De Luca, fautore del "dialogo per la pace", e il ministro della Cultura Giuli, sostenitore di una linea più intransigente contro la "strumentalizzazione ideologica", evidenzia un nodo cruciale nelle democrazie liberali contemporanee.
La questione non è se un artista abbia il diritto di esprimere le proprie idee politiche – diritto inalienabile in ogni società libera – ma se tali idee, quando si traducono in un sostegno attivo a regimi o azioni contro i diritti umani, compromettano la percezione e la funzione della sua stessa arte.
Gergiev, noto per la sua vicinanza a Vladimir Putin, non è un semplice "artista bravo" da far esibire ovunque, come suggerito da Vannacci. La sua posizione è quella di un fiancheggiatore esplicito di un regime criminale, come sottolineato da Julija Navalnaja.
Gergiev non si è neppure limitato a un sostegno passivo o silenzioso. Le sue azioni sono state spesso apertamente allineate alla narrazione del Cremlino. È il caso, ad esempio, della sua introduzione a una produzione dell'opera di Prokofiev Semyon kotko al teatro Bolshoi, che si è conclusa con la proiezione di un filmato glorificante l'invasione russa dell'Ucraina, presentando la distruzione del Donbas come una "liberazione" e attribuendo la responsabilità della guerra a Kiev.
Analogamente, nel 2016, dopo la presa russa e siriana di Palmira, Gergiev ha tenuto un concerto altamente pubblicizzato tra le rovine, trasmesso dalla televisione di Stato russa, fungendo da propaganda culturale per legittimare il ruolo di Mosca in Siria e rafforzare l'immagine di Putin come "difensore della civiltà". Ha inoltre condotto un concerto nel 2008 a Tskhinvali, in Ossezia del sud, una regione georgiana sotto controllo militare russo, a pochi metri da un centro di detenzione per civili georgiani.
Il dilemma tra arte e politica ci riporta ad Adorno e al suo "scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro". Sebbene in contesti diversi, il principio è chiaro: l'artista che abbraccia cause di tale gravità non può più essere immune dal giudizio. Quando l'arte si fa strumento di un messaggio politico, si degrada a propaganda, perdendo la sua "insindacabile" autonomia. Non è l'opera a essere censurata, ma la scelta dell'artista di piegarla a fini politici.
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