(ap) Cosa ci manca di Federico Fellini? “La sua giacchetta, un orecchio, un pezzo di
naso?”, si è chiesto ironicamente Roberto Benigni, che aveva lavorato con lui a
La voce della luna, e ne era rimasto
amico. Non solo queste piccole cose. “Mi manca invece proprio tutto: il fatto
di parlargli, il fatto di come ti guardava, tutta la persona intera”, ha
osservato commosso il comico, per una volta fuori dei panni del toscanaccio
irriguardoso.
A 20 anni dalla sua scomparsa (31 ottobre 1993), il cinema
tutto, non solo italiano, celebra con una miriade di iniziative, non meno
rilevanti di quelle del decennale, uno dei suoi esponenti più noti, il
maestro che seppe dare forma ai sogni. Dalle mostre dedicate alla sua
filmografia e alla sua vita alla ripresentazione in versione restaurata di
lavori celebri, all’ascolto delle colonne sonore che accompagnarono quelle
immagini. Infine, alla vera e propria “celebrazione” del mito, vincitore di 4
premi Oscar, con convegni e manifestazioni, nella sua tanto amata Rimini, dove
ora è sepolto accanto alla moglie Giulietta Masina.
Di tutto e di più. Manifesti, spot
d’autore, provini, scene tagliate e non utilizzate, caricature, fotografie,
documentari, in parte conosciuti, in parte mai visti. Caleidoscopio di immagini
e ricordi, per tentare di ricomporre il mosaico di un Amarcord indimenticabile dell’uomo, del regista, del sognatore. Di colui
che amava definire se stesso come
"un artigiano che non ha niente da dire, ma sa come dirlo" e che ci
ha lasciato opere ricche di poesia, e velate di una sottile e struggente malinconia.
Nell’arco di quasi quaranta anni,
Fellini ha attraversato, con il suo cinema, tutto il dopoguerra, segnandone la
fine, ed ha percepito le inquietudini della rinascita economica, e dei tempi
moderni, cogliendone i mutamenti di costume, e persino etici.
Eppure, questo lungo viaggio nel tempo e
nella realtà è sempre avvenuto sfuggendo ai canoni tradizionali del realismo,
tipico del cinema italiano post bellico, per assumere i caratteri della magia,
e dell’invenzione, persino dell’abbandono alla pura immaginazione stimolata
soltanto dalla memoria. Talora, senza una rotta precisa cui tendere, e persino
senza che i film avessero una trama troppo delineata e rigida, specie in fase
di progetto. Soltanto con degli spunti iniziali, idee appena abbozzate e ancora
da definire, in attesa, si direbbe, che i personaggi memorabili da cui creati,
i luoghi della mente e del cuore riprodotti trovassero, come d’incanto, da sé
soli, vivendo e raccontandosi davanti alla macchina da presa, la loro storia, il loro modo di presentarsi al
pubblico.
Così raccontava il suo rapporto disincantato
con la troupe (e in vero con il film stesso), il primo giorno de Lo sceicco bianco: «Si erano imbarcati tutti in
un barcone che era a un chilometro di distanza su un mare immenso.
Lontanissimi, irraggiungibili. Mi domandavo ‘E ora cosa faccio?...' Non
ricordavo la trama del film, non ricordavo nulla, desideravo tagliare la corda
e basta. Dimenticare. Poi, però, di colpo tutti i dubbi mi svanirono quando
posai il piede sulla scala di corda. Mi intrufolai tra la troupe. Ero curioso
di vedere come sarebbe andata a finire ».
Preparava
il materiale da rappresentare osservando la vita nei suoi lati più curiosi. Ne
avrebbe scoperto solo dopo – riprendendola con la macchina da presa - il suo senso più profondo. « Mi
sento un ferroviere che ha venduto i biglietti, messo in fila i viaggiatori,
sistemato le valigie nel bagagliaio: ma dove sono le rotaie? »
I ricordi e la memoria erano capaci di
costruire eventi e personaggi in cerca di un autore e di una rappresentazione,
e proprio questo spazio costituiva il più autentico canovaccio in cui l’energia
creativa di Fellini ha potuto manifestarsi. Spesso travolto lui stesso dalla
cavalcata di invenzioni che sapeva creare, oppure smarrito di fronte ad esse,
come un bambino che assiste stupito al sorgere di mille prodigi.
Allora, il set di Cinecittà, luogo prediletto di tante ricostruzioni
cinematografiche, poteva davvero essere la forma dell’immaginazione. Esprimere
i suoi molteplici stati d’animo: il
congedo dalla provincia natia e dall’adolescenza, l’assimilazione del proprio
passato, il ritorno alla terra di origine, la rielaborazione artistica di
ricordi e suggestioni.
Il sogno, più del pensiero, ci è necessario con le sue invenzioni ed
improvvisazioni, per avere la più
autentica percezione delle immagini e dei suoni solo apparentemente reali, e
magari per esprimere i desideri inappagati della vita di ogni giorno. In fondo,
osservava Fellini: “Il visionario è l’unico realista”. E forse solo il sogno,
così permeato da suggestioni notturne e dai misteri dell’anima, può offrire ciò
che il giorno non sa dare.
Nessun commento:
Posta un commento