Racconto di Paolo Brondi
La lasciò ad attenderlo ed entrò in chiesa nell’ora del vespro, mentre un coro di giovani intonava preghiere, sul ritmo di un organo antico e con voci armoniose e incantevoli. Nicola amava respirare quei suoni, quel sapore d’antico che, forse, gli permetteva di recuperare la memoria del suo passato, ogni volta di più e con straordinaria vivezza.
Quel giorno si trovò a rivivere il tempo in cui, chierichetto fra i più amati del suo Don Carlo, ne ascoltava le prediche, negli anni Cinquanta o poco più, invocanti frementi redenzioni tramite il cielo, ove dirigeva sbuffi d’incenso che evaporava in nuvole evanescenti, condensando di dolce e stimolante profumo ogni narice, ogni senso, e finanche la fantasia dei numerosi fedeli, turbandone l’intensità delle preghiere…
«Pregate con me - diceva con
voce tonante - e meditate!».
Padre nostro che sei nei
cieli
muta le ore del tempo
funesto
che or grava su noi tutti
sciogliendo in purezza
d’intenti
la perduta coscienza
degli uomini “rossi”
(comunisti)
degli uomini “neri”
(fascisti)
e di quant’altri ne
seguon la traccia
e fai splendere il sole
di pace
in questo mondo
confuso... Amen
Nicola ascoltava in silenzio
quelle parole, agitando in cuor suo, ogni volta, il rimorso di aver prestato
ascolto alle profferte di chi Don Carlo chiamava “comunisti”: offrivano
caramelle, cioccolata, a tutti i ragazzi che transitavano davanti al loro
ritrovo - una stanza che si apriva sulla strada e sulla cui porta, semiaperta,
stava un’insegna di colore rosso, con al centro l’immagine di una falce e un
martello incrociati - dietro la ripetuta richiesta della loro promessa che
l’indomani avrebbero portato, in quella stessa stanza, conigli, galline e ogni
altra cosa che, presa o rubata ai contadini, potessero raccogliere.
Nicola, tentato per gola,
solo una volta aveva accettato una tavoletta di cioccolato, ma poi preso da
oscuri tormenti e sogni paurosi di vendette infernali, si era ben guardato
dallo sciogliere la promessa e, da allora, faceva giri più larghi, pur di non
transitare davanti al ritrovo dei “comunisti”. La stessa cautela non avevano
molti suoi compagni e, sovente, nel buio della notte, si udivano gli urli dei
contadini svegliati dallo starnazzare di oche e galline catturate in gran volo
da invasati, “rossi”, fanciulli.
La “voglia” della cioccolata
era rimasta a Nicola dal giorno in cui, per la prima volta, l’aveva assaggiata:
nella primavera avanzata del 1945, poco prima che spuntasse l’alba. Aveva solo
qualche mese più di tre anni in quel tempo e, come tanti altri bambini, viveva
in una terra esausta per essere l’epicentro di focolai di guerra: quasi ogni
notte precipitosamente era portato in braccio dalla mamma fino a un rifugio
ricavato sotto un ponte della ferrovia, lungo la linea gotica.
Quel mattino, si
svegliò presto e, senza farsi sentire, sgattaiolò fuori dal rifugio: si apriva
più in là un campo di grano non ancora maturo, ma già folto di steli innalzati
e spighe vezzosamente svestite. Nicola vedeva quel mare di spighe agitarsi, ma
senza vento, senza brezza, bensì per i corpi struscianti e i visi annuncianti
l’assoluto silenzio. Visi bianchi, neri, tutti con gli occhi fissi su lui che
così piccolo non si chiedeva “perché”, ma viveva in immediata simbiosi con
quella strana animazione.
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