di Valeria Giovannini
Molto toccanti le pagine
autobiografiche di Ezio Raimondi, filologo, saggista e critico letterario
italiano, nel suo Le voci dei libri.
L'autore racconta di essere nato in
una casa dove non c'erano libri. Un giorno ne trovò uno, uno soltanto, nascosto
tra le anticaglie di un comò: l'edizione Nerbini de I miserabili. Era il libro del capezzale della madre di Raimondi,
una donna del popolo che lavorava a servizio.
Una donna che "aveva il senso del crescere e capiva, lei che non era colta, che la cultura era lo strumento necessario". E, per pagare gli studi del figlio, si accollò lavori supplementari. Il padre di Raimondi era un calzolaio senza bottega, che vedeva, invece, per il figlio un futuro da artigiano. I libri entrarono nella vita dell'autore attraverso la scuola. O donati da studenti universitari quando lui, ragazzino, consegnava a domicilio i panni lavati e stirati dalla madre. Poi, crescendo, ebbe in dono il Sein und Zeit di Martin Heidegger, da un'amica affettuosa, visto che "Tu conosci il tedesco". Da Franco Serra, compagno di domeniche trascorse sulle colline bolognesi e morandiane a leggere e conversare, ricevette un testo fondamentale nella sua vita di studioso: Letteratura europea e Medio Evo latino di Ernst Robert Curtius. Fondamentale, evidentemente, anche perché aveva respirato l'aria di quelle lontane domeniche in collina. Era diventato parte di sé.
Una donna che "aveva il senso del crescere e capiva, lei che non era colta, che la cultura era lo strumento necessario". E, per pagare gli studi del figlio, si accollò lavori supplementari. Il padre di Raimondi era un calzolaio senza bottega, che vedeva, invece, per il figlio un futuro da artigiano. I libri entrarono nella vita dell'autore attraverso la scuola. O donati da studenti universitari quando lui, ragazzino, consegnava a domicilio i panni lavati e stirati dalla madre. Poi, crescendo, ebbe in dono il Sein und Zeit di Martin Heidegger, da un'amica affettuosa, visto che "Tu conosci il tedesco". Da Franco Serra, compagno di domeniche trascorse sulle colline bolognesi e morandiane a leggere e conversare, ricevette un testo fondamentale nella sua vita di studioso: Letteratura europea e Medio Evo latino di Ernst Robert Curtius. Fondamentale, evidentemente, anche perché aveva respirato l'aria di quelle lontane domeniche in collina. Era diventato parte di sé.
Raimondi, da ragazzino, recuperava
libri di seconda mano e ridava loro nuova vita. Anche nell'involucro. Li
ricopriva con carta da pacco solida. Poi apponeva, sulla copertina, immagini da
lui ricopiate dalle avventure di Gordon. Una cura anche fisica del libro,
dunque. Restaurato e forgiato di nuovo vigore.
La figura più significativa è la
madre. Raimondi descrive un'immagine impressa nella memoria: lei che raggiunge
il maestro Formiggini alla scuola media e gli chiede, 'da buona economista', se
valga la pena investire su di lui come studente. Alla risposta affermativa del
maestro, ogni passaggio della maturazione culturale dell'autore, avveniva sotto
lo sguardo trepido della madre. Lei acquistava i libri, "oggetti sacri ma
insieme creature fidate" e, con "l'atto fisico della consegna
sigillava (...) la volontà deliberata di farsi partecipe del disegno, in ogni
momento della sua composizione". Quando decise di comperare il
primo volume della Storia della
letteratura italiana di Francesco Flora, lo consegnò al figlio quasi fosse
stato un messale. E ogni volta che Raimondi apriva quel libro, ricordava
il gesto simbolico di sua madre. Le madri hanno la straordinaria capacità di vedere oltre.
Di intuire un arco nel cielo. E i figli lo percepiscono. In un linguaggio
inafferrabile e viscerale.
La casa natale fu distrutta dai
bombardamenti nel settembre del '43. Lui e la madre rimasta vedova
andarono a vivere in un locale di un'ex caserma della Milizia. Uno spazio messo a disposizione,
probabilmente dal parroco, agli sfollati. L'autore racconta di Heidegger,
ospitato nella cucina di
casa, "sottratto alla dignità accademica, portato nella vita comune", in
un quotidiano che avrebbe dato "voce e immagini al cosiddetto
neorealismo". Un "Heidegger domestico", venuto ad abitare in
quella cucina intrisa di odori e nebbie. Per l'autore, infatti, il libro aveva
due dimensioni: quella alta, del linguaggio che accompagnava verso le grandi
idee; e quella del quotidiano, che arricchiva il senso e il valore del libro
stesso, attraverso la profondità del tempo.
Sopra
il tavolo di cucina dove si mangiava e si studiava. I personaggi di cui si
occupava Raimondi entravano in quell'angolo di mondo domestico. Si
umanizzavano. Diventavano figure note e familiari anche alla
madre. Una donna "lontanissima dal sapere ma con la raffinatezza vera di
un'umanità calda". La lettura ad alta voce, favorita dallo studioso, rende
infatti vivo il testo e la relazione con esso. Le parole vengono
espresse anche nella loro consistenza materiale. Nella propria vita. Tra le mura di casa. E risuonano, a lungo, nel tempo. Nel
respiro di chi le pronuncia. Nella consapevolezza di sé.
Una recensione intensa come il libro cui è dedicata.
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