di
Paolo Brondi
Twittare,
ricorrere a facebook, al fast thinking o al fast sharing, non depone in assoluto per mancanza d’ispirazione a
comporre romanzi, ma sono scelte espressive del nostro tempo, freneticamente
spinto al nuovo, alla celebrazione dei montaliani idoli di creta e a
sentenziare il limite, la parzialità o il fallimento di ogni opera appartenente
al passato. Certo
è "altro", altra esistenzialità e storia, che le voci twittanti
raccontano, rispetto al passato, alle voci dei grandi il cui linguaggio, appena
si incontra, con la lettura e l’esercizio dello scrivere, entra nell’ anima e guida
la scrittura per modo che, pagina dopo pagina, ci si trova a creare una
proliferazione di significati, un circuito semantico, ben più ricco di quello sperato.
Sono voci, quelle dei grandi, che vanno comprese come stimolo a un’azione umana volta a fuggire la condanna kafkiana per cui “si appartiene soltanto alla voce che viene meno, al luogo che scompare” o a comprendere che la tradizione va salvata in un continuum vitale e rassicurante.
Sono voci, quelle dei grandi, che vanno comprese come stimolo a un’azione umana volta a fuggire la condanna kafkiana per cui “si appartiene soltanto alla voce che viene meno, al luogo che scompare” o a comprendere che la tradizione va salvata in un continuum vitale e rassicurante.
Ma questa è una bella utopia cui non si
sfugge se nei giorni nostri perdura quell’attivismo frenetico, come una sorta
di ballo di S. Vito, che ci separa dagli spazi della concentrazione, della
riflessione, del silenzio: luoghi che sono essenziali per leggere un libro e
scriverne un altro.
Per scrivere di
narrativa e di storie serve un tempo diverso da quello dei media: serve il
tempo lungo dello studio, del divorare montagne di libri, per elevarsi a quel
linguaggio che Cassirer chiamava di “forme del sentimento”, o, con Bergson, di “forme
della memoria”, memoria che è la nostra coscienza. Senza memoria la coscienza è
nuda, è povera, è arida”, come lo è la coscienza dei giovani se sono spinti
solo al presente, solo a gioire e godere delle cose presenti e de meri giochi
di parole che sentono intorno.
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