150° Anniversario dell'Unità d'Italia, Concerto di R. Muti, 2011 |
La profezia sulla fine del parlamento,
sostituito dai meccanismi salvifici della Rete, è alimentata dalla grave crisi
delle rappresentanze nei regimi statali moderni, ma ripropone il mito di
esperienze già sperimentate con effetti devastanti. La democrazia liberale non
ammette scorciatoie facili, ed è intrinsecamente ascolto, dibattito, confronto.
Ha bisogno di luoghi e strumenti di composizione dei conflitti e di
elaborazione delle soluzioni
(ap
*) È realistica la profezia
di Davide Casaleggio sulla fine del parlamento, lo strumento cardine della democrazia
nei regimi liberali moderni? Reazioni molto vivaci hanno accolto l’idea che in
futuro la struttura parlamentare non sia più necessaria, sostituita dagli
strumenti di democrazia diretta che la mitica “rete” è in grado di offrire. Consultazioni
on line, rapide interlocuzioni, decisioni immediate. Risultato: efficienza,
velocità e soprattutto corrispondenza piena tra volontà popolare e decisioni,
nessuna deviazione di percorso, nessun tradimento degli interessi della gente.
Non
solo speranza o congettura, a dire di Casaleggio, il guru del
Movimento 5 Stelle. L’idea troverebbe già concretezza proprio in “Rousseau”,
la piattaforma informatica creata dalla sua società di consulenza per le strategie
digitali e messa a disposizione dei grillini, oggi alla guida del paese, in
numerose occasioni. Basterebbe dunque guardare a questo strumento, vanto dell’intero
movimento, per rendersi conto delle potenzialità della rete in democrazia e rimanerne
convinti.
Il superamento
della rappresentanza politica attraverso forme di democrazia diretta è un
principio costante del Movimento, declinato nelle forme più svariate (dalla
regola “uno vale uno”, alle critiche alla partitocrazia e all’establishment del
paese), ma stavolta è espresso nella forma più esplicita e radicale, la soppressione
pura e semplice del parlamento. Inevitabile che innanzi tutto le critiche si
riferiscano agli argomenti spesi sia da Casaleggio che dai 5 Stelle, e ovviamente
alle identità dei sostenitori.
La sperimentazione degli strumenti digitali
A
proposito della rete e di Rousseau, le prove sinora offerte non hanno affatto
dimostrato virtù miracolose, anzi sono apparse palesemente problematiche, basti
pensare agli inconvenienti manifestati in tutte le occasioni in cui il sistema è
stato sperimentato. Chi può accedere alla piattaforma? Quanti possono
partecipare alle votazioni? Come sono scelti gli argomenti di discussione?
Aspetti non di poco conto, che riguardano temi essenziali nella formazione del
consenso: il controllo sulla legittimazione ad intervenire, la durata delle
consultazioni, la formazione dei quesiti.
Alla
fine la rete, a dispetto delle sue vantate potenzialità salvifiche, si è mossa
in modo non trasparente, in numeri ristretti rispetto al bacino di consensi
vantato e con risultati coincidenti con le aspettative dei proponenti, tanto da
lasciare dubbi sulla spontaneità delle partecipazioni. Un contesto di pochi
militanti, già allineati e fedeli al dogma insegnato, esposto alle
manipolazioni.
Quanto
poi a Casaleggio, il parlamento – è stato osservato tenendo conto proprio della
fonte della proposta - è inutile solo se si ragiona nell’ottica di
ridimensionare il concetto di cittadinanza, di operare un declassamento delle
persone a meri “clienti” di chi opera sul web per fini privati (come appunto la
“Casaleggio associati”).
Il pensiero sotteso è: c’è tutto l’interesse a
sponsorizzare la rete da parte di un soggetto che con essa fa profitti. Una
censura particolarmente grave tenuto conto dei rapporti non trasparenti tra
movimento politico e società di consulenza, tra pubblico e privato, e del fatto
che il Movimento è oggi alla guida del paese ed ha dunque una responsabilità
generale.
60° Anniversario dei Trattati di Roma, 2017 |
La crisi delle rappresentanze politiche
Eppure
l’idea della democrazia diretta non è solo la battaglia di fondo dei 5 Stelle,
né tanto meno una sollecitazione emersa in epoca moderna o circoscritta nella
sua diffusione. Casaleggio che, con tutti i grillini, si propone come protagonista
di una concezione visionaria e innovativa, rivolta al futuro, non dice nulla di
nuovo nella storia del pensiero politico e delle istituzioni, anzi fa un radicale
passo indietro, riproponendo teorie e soluzioni già sperimentate con
conseguenze devastanti.
Il
fascino dell’idea che tutti i cittadini possano decidere sulla cosa pubblica senza
alcuna intermediazione, esercitando dunque non solo le classiche competenze
elettorali, ma tutte le altre attribuzioni (in materia costituzionale,
legislativa, amministrativa, in genere convenzionale) nasce dalla periodica
accusa di degenerazione oligarchica delle strutture delle Stato, e dalle
cattive prove che talvolta offrono le istituzioni rappresentative, incapaci di
operare in modo equo e saggio.
Dall’America
di Donald Trump all’Italia
di Di Maio e Salvini, in effetti si moltiplicano i volti delle democrazie in
crisi di identità, e della loro affannosa ricerca di un’uscita di sicurezza
dalle inefficienze. Le istituzioni vengono percepite, non a torto, inadeguate a
curare gli interessi della popolazione, a coglierne le esigenze e i reali
bisogni.
La “ribellione delle masse”, per usare il titolo di un famoso libro di
José
Ortega y Gasset, è determinata dalla percezione dell’incapacità dei governi
tradizionali a governare un mutamento epocale dell’economia e dunque degli
stessi assetti sociali. E a fornire risposte semplici ed efficaci in termini di
benessere e di sicurezza per la generalità dei consociati. Percezioni che non
sono certo infondate e prive di riscontri quotidiani.
Infatti
la globalizzazione, se ha certamente comportato un progresso economico per i
paesi sottosviluppati del pianeta, ha anche messo a rischio le condizioni di
lavoro e di reddito dei cittadini delle nazioni più avanzate, creando proprio
qui nuovi abissi di precarietà ed incertezza. Eccessiva fiducia nelle sorti del
progresso economico da un lato, miopia nell’avvertire rischi e inconvenienti
dall’altro.
Tutto
ciò ha comunque determinato una sfiducia radicale nelle strutture che a vario
titolo hanno gestito la rappresentanza degli interessi collettivi, sindacati, partiti
politici, corpi intermedi della nazione, incapaci di cogliere il senso
tumultuoso del cambiamento, così prodigo di risultati esaltanti nei paesi
emergenti ma anche di diseguaglianze e povertà nelle nazioni da cui è iniziata
la globalizzazione.
In
mancanza di un ripensamento profondo di questi problemi e delle responsabilità
delle rappresentanze, è inevitabile il proliferare di movimenti in vario modo
anti-elite, che, di fronte a istituzioni inadeguate, propongono sbrigativamente
la loro eliminazione, piuttosto che un processo di cambiamento su basi diverse.
Come reagire alla complessità delle sfide
Ora,
la nostra Costituzione, che pure si fonda sul principio della rappresentanza
delle strutture intermedie (dalle istituzioni ai partiti, ai sindacali, in
genere alle formazioni sociali in cui si esplica la personalità dei cittadini),
riconosce l’utilità di molte forme di partecipazione diretta del popolo
all’amministrazione della cosa pubblica. Per esempio attraverso l’uso dei
referendum, utilizzato anche in Italia in più occasioni su questioni importanti
(il divorzio, il finanziamento pubblico ai partiti).
Tuttavia,
la profezia di Casaleggio, fatta propria dai 5 Stelle, rinvia ad una totale
trasformazione dell’assetto statuale, che è impossibile realizzare senza una
modifica della Costituzione stessa, o forse senza una sua riscrittura integrale,
essendo la dimensione parlamentare un elemento imprescindibile – e perciò non
eliminabile - di questa forma di Stato.
Norberto
Bobbio ha osservato che «Nulla rischia di uccidere la democrazia più che un
eccesso di democrazia», ma la cosiddetta democrazia diretta non è semplicemente
un eccesso, in questo caso dovremmo non averne paura ma solo governarla, piuttosto
è la fine stessa della democrazia come conosciuta negli stati moderni
occidentali. I sistemi parlamentari sono imperfetti, spesso inadeguati ed
insufficienti, tardi al rinnovamento. E’ suicida non avvedersene e non introdurre
correttivi e ripensamenti. Impossibile attendere, esitare, rinunciare.
E
però l’alternativa proposta è una realtà del tutto diversa, già sperimentata ai
livelli più estremi nei soviet sovietici, nelle corporazioni fasciste, nei
governi popolari di ispirazione maoista. E prima ancora nel giacobinismo più
radicale, di cui si ricorda la capacità di oliare alla perfezione le
ghigliottine durante la rivoluzione francese. Ovunque, in questi casi, si è
ritenuto di eliminare i particolarismi, le degenerazioni, con il decisionismo
unanimistico.
Il
fantasma che si aggira tra noi è il mito del «popolo» inteso come soggetto
unico e tendenzialmente monocorde, che, se compulsato senza tramiti, buoni solo
a distorcerne desideri e a disattenderne intenzioni, esprime il suo pensiero; e
quello della «volontà popolare» come substrato naturale innato che, in quanto
già formato, non ha bisogno di confronto, di discussione, di verifica.
L’idea
di fondo è il ricorso ad una simbologia dei rapporti sociali che travisa
l’effettività delle cose e la stessa realtà delle persone, ed è irrispettosa di
entrambe.
Il
teorema della democrazia diretta definisce un orizzonte lontano dalla realtà
effettiva: «il popolo», a ben vedere, è un soggetto composito e problematico, portatore
di interessi diversi e talora contrastanti, alle prese con problemi complessi e
di non facile soluzione, esposto alle insidie dei cambiamenti. Ma coraggioso
nello sforzo di affrontare le sfide della modernità.
Si direbbe: la gente, come
ciascuno di noi, è in cammino costante, con i suoi dubbi e le sue speranze, poche
certezze iniziali, pronta a scommettere sul futuro e a cercare le soluzioni
possibili alle sue difficoltà. Perciò la vita del «popolo», nella sua
dimensione reale e non astratta, esige dialogo, discussione, confronto intenso
tra opinioni diverse. Quindi, per stare al tema delle rappresentanze e degli
strumenti di mediazione come il parlamento, di luoghi dove la pluralità delle
voci possa esprimersi liberamente e cercare la via di una composizione
fruttuosa.
La
democrazia rappresentativa non è affatto necessariamente inefficiente, incapace
di interpretare le esigenze dei cittadini e di offrire loro ragionevoli
soluzioni. E’ solo un sistema complesso, anche fragile, esposto al rischio di fallire,
scettico rispetto alle facili scorciatoie della storia, ma capace di
scommettere sul proprio futuro: a condizione che non manchi mai, specie nei
momenti critici, l’impegno di tutti i cittadini.
*
Anche su La Voce di New York:
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