Francis Scott Fitzgerald nel 1921 |
Hemingway
e Scott Fitzgerald: il male di vivere nella società americana del ‘900
di Marina
Zinzani
«Il suo talento era naturale
come il disegno tracciato dalla polvere sulle ali di una farfalla. In un primo
tempo non lo capì più di quanto non lo capisca la farfalla, ed egli non se
ne accorse neppure quando il disegno fu guastato o cancellato. Più tardi si
rese conto delle sue ali danneggiate e comprese com’erano fatte e imparò a
riflettere e non riuscì più a volare perché era scomparso l’amore per il volo e
poté solo ricordarsi di quando volare non gli era costato il minimo sforzo».
Le parole che Ernest
Hemingway dedica a Francis Scott Fitzgerald sono di rara sensibilità, un
contributo all’amico che aveva scritto un romanzo come “Il grande Gatsby”, che
aveva conosciuto il successo ma la cui vita era stata segnata dal tormentato
rapporto con la moglie Zelda, dalla malattia mentale di lei, dall’alcol, dal
male di vivere di quella che negli anni ’20 a Parigi veniva definita “La
generazione perduta”.
Le ali danneggiate
sono delle persone fragili, ali che hanno provato a volare, hanno creduto in un
sogno, o avevano un talento, o un progetto, il volersi discostare dai propri
simili ed andare un po’ più su, in un cielo più limpido. La generazione perduta
ricorda i sogni perduti, le ideologie frantumate, il denaro rimasto come unico
dio in grado di muovere le cose e le persone, e di generazioni perdute ce ne
sono state tante, ovunque, in tutti i tempi.
Le ali di una
farfalla smettono di volare quando le persone deludono, e ci si lascia dietro
un amaro che fa chiudere il cuore. Smettono di volare anche quando un amore
diventa una forma di violenza. Quando il difficile equilibrio del vivere viene
compromesso da rumori, parole, inutili e dannose.
La penna di
Hemingway, paragonando Scott Fitzgerald ad una farfalla, parla di ciò che la
sua vita avrebbe potuto essere, e non è stata. Come la vita di molti.
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