(foto La Repubblica) |
La scuola, gli studi. L’incontro
con figure che hanno segnato il nostro percorso di vita
di Paolo Brondi
Quando un amico di studi mi
comunicò, ormai tanti anni fa, la scomparsa del nostro maestro, il prof. Arturo
Massolo (Palermo 1909 - Pisa 1966), rimasi costernato, e tuttora provo quel
sentimento, perché di colpo colsi il senso
della frattura fra due mondi, due tempi: quello in cui il professore viveva e
l’oggi, quello della fragilità della vita e la morte.
Poi è intervenuta la riflessione,
stimavo quel buon professore che, ogniqualvolta mi esaminava, si entusiasmava
nel cercare di risolvere i misteri della filosofia. “Che cosa è l’immaginazione? Che cosa il
pensiero? Che voleva dirci Immanuel Kant con la sua immaginazione trascendentale?”,
andava chiedendo a se stesso, con l’evidente intenzione di coinvolgere l’esaminando
e di non mancare mai di far lezione.
In questo monologo - dialogo, mai
mancava di disegnare linee e cerchi che via via prendevano la forma di
circonvoluzioni, la mente non come la vede il medico, ma il filosofo: così come
la vedeva il mio prof. che mai come altri appariva il vero maestro. Il suo
disegno raffigurava una mente chiara, pensosa di pensieri puri, luminosi.
Nelle ore in cui si sedeva in
cattedra mai appariva il maestro saccente, ma era sempre proteso ad affrontare
la fatica della ricerca sul significato della parole, sulla logica dei concetti
e delle proposizioni e quando s’imbatteva in passi, a suo dire contorti, come
ad es. “la libertà universale non può quindi produrre nessuna opera né
operazione positiva”, continuava a ripetersi, guardandoci di sfuggita, “che
cosa vorrà dire Friederich Hegel, che cosa vorrà insegnarci?”. Ci appariva
allora più che il docente, l’uomo, l’amico, la nostra guida che s’arrampicava
sul monte del sapere faticando come noi, con noi, con tutti i suoi allievi.
Caro prof. che sovente
t’interrompevi mentre fumavi la tua eterna sigaretta; scendevi dalla cattedra,
figura tarchiata di buon siciliano, occhiali neri con lenti bianche e spesse,
mani piccole e gentili, sempre vestito di scuro. Venivi a noi più vicino e pur
non scendendo del tutto dal tuo bel mondo d’idee e di ricordi resi idee, ci avvicinavi
a te, alla tua semplicità, alle tue lontane esperienze di liceale, quando amavi
quel tuo professore che neppure la notte dormiva per leggere e rileggere non ricordo
qual filosofo.
Era il tuo mondo che tutto
entrava in noi. Noi lo capivamo perché eri tu a farcelo vivere, trasmettendoci
il concetto antico d’insegnamento che è una missione. Addio caro maestro di
filosofia, ma ancor più, di vita.
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiElimina