Crisis is sweet and yet the Heart
Upon the hither side
Has Dowers of Prospective
Surrendered by the Tried -
Inquire of the proudest Rose
Which rapture - she preferred
And she will tell you sighing -
The transport of the Bud
Il Punto
d'arrivo è dolce eppure il Cuore
Da questo
punto di vista
Ha Doti
Potenziali
Sconosciute
al Realizzato -
Chiedi alla
Rosa più orgogliosa
Che
rapimento - ha preferito
E ti dirà
sospirando -
L'estasi
del Bocciolo -
(ap)
Un immaginario viaggio nell’arte pittorica dell’800 e nella letteratura di quel
secolo incrocia necessariamente la lirica di Emily Dickinson, la poetessa
americana che visse, come una reclusa, una gran parte della sua vita, mai
uscendo dalla casa nella quale era nata.
Alcune
domande (Come la donna si vede? Cosa
pensa di sé?), che la visione di quell’arte e la lettura dei testi
letterari possono suggerire in quel percorso fantasioso, denso di rilievo
storico e di significato attuale, incontrano la risposta della giovane poetessa
americana che ha osservato la vita senza viverla, che ha parlato dell’esistenza
senza percorrerla, e che ha raccontato sentimenti umani vissuti soltanto nel
suo animo.
Secondo
questa concezione fortemente intimistica, riversa su se stessa, la vita è
descritta assumendo simbolicamente gli eventi della natura come momenti
esistenziali decisivi, come fonte di riflessione, come suggerimento e stimolo
per l’animo inquieto e tormentato.
In
questa lirica, la poetessa racconta che “il
punto di arrivo” nelle cose è quasi sempre appagante, il risultato che
raggiungiamo ci soddisfa e rallegra, e tuttavia i nostri sentimenti più forti
sono forse quelli che si provano quando tutto sta per nascere, quando si
immagina l’avvenire, quando le aspettative sono maggiori.
E’
bello vedere la rosa già sbocciata, e la rosa sente la fierezza di essere tale,
ma lo stesso fiore, pur al culmine della crescita e della bellezza, non può non
guardare con nostalgia, ricolma di tenerezza e di gioia, al quel momento
iniziale in cui tutto doveva ancora compiersi, e vi era soltanto “l’estasi del bocciolo”. Allora,
incontenibili erano le speranze, e ciò che facevano battere il cuore erano i
pensieri del futuro e non i ricordi del passato. Seguendo questa metafora
naturalistica, si potrebbe dire dunque, il viaggio è più importante della meta.
Emily
Elizabeth Dickinson (1830-1886), di salute precaria, timida e schiva, a
trent'anni si ritirò in un isolamento completo con la compagnia dei suoi soli
familiari per dedicarsi a coltivare la sua straordinaria e incontenibile vena
poetica, unica e più alta espressione del suo sentire.
Nel
distacco dal mondo, nella solitudine fisica, cercò la grandezza della sua
libertà interiore, la possibilità di spaziare ovunque con l'animo, di ricercare
ogni frammento esistenziale e di raccontarlo nei suoi versi.
In una
vita priva di relazioni umane, senza eventi materiali, l'evento fu proprio lei,
la persona capace di osservare la natura dalla sua finestra, aperta sul
giardino di casa e dischiusa sul mondo intero, e di vivere con la fantasia
amori e sentimenti purissimi, conosciuti soltanto dalla sua anima e mai
esternati ad alcuno.
La
frontiera del suo mondo e del suo paese era costituita dalla siepe che cingeva
il suo giardino: la poetessa fu una solitaria, affascinata dal divino.
L'inquietudine
che traspare nella sua lirica spesso vigorosa e innovativa, l'irrequietezza
nascosta nei versi impregnati di pause e non solo di parole, con un lessico
fatto di maiuscole e di trattini, ispirati ad amarezza ed esaltazione, aperti
allo stupore e all'incertezza, così lontani dalla sua epoca, l’hanno resa oggi,
proprio per questo, modernissima ed attuale.
In
un'epoca che esaltava le donne come angeli del focolare, attuò una ribellione
interiore, esaltò il gusto della vita in piena libertà, cantando, in un mondo
spesso vuoto di certezze, la bellezza e la gioia del sentimento puro, tanto da
farle dire: “Ero così allegra che per me
/ l’arcobaleno era la norma / e i cieli vuoti / l’eccezione”.
Sconosciuta in vita ai contemporanei, lasciò alla sua morte circa 2000 composizioni, scritte in grande segreto, che testimoniano un rapporto dissonante e non armonico, ma anche esaltante, con la vita reale.
Riassunse lei stessa i termini di questa relazione difficile, definendo per i posteri la sua opera letteraria “la mia lettera al mondo, che non ha mai scritto a me”.
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