di Angelo Perrone
Scese giù per le scale e attraversò di corsa il
portone ancora socchiuso del palazzo, poi prese a camminare a passo svelto: un
cespuglio di capelli scuri, il tailleur giallo, lo zainetto di pelle nera sulle
spalle, e in mano la borsa ingombra di carte.
Per quanto fosse ancora presto, Nicole ebbe la
sensazione che non sarebbe riuscita a fronteggiare i troppi impegni che aveva
fissato per quella giornata e ne fu contrariata.
Non rinunciò però al suo caffè amaro nel bar sotto
casa, dove Mario era lì pronto a servirglielo senza farla attendere, quasi ci
fosse soltanto lei, unica cliente, mentre il locale a quell’ora era sempre
affollato di gente frettolosa.
Le piaceva anche prepararselo a casa, il caffè, nel
cucinino ricavato proprio sotto i tetti della sua mansarda, magari indugiando a guardare dall'alto i palazzi della Roma umbertina dove abitava. Però, preferiva fermarsi un momento al bar, anche quando andava di fretta; e scambiare
qualche parola con Mario, che l’accoglieva con un sorriso speciale. Era un
piccolo rito gradevole, prima di iniziare la giornata di lavoro.
Quella mattina rinunciò a prendere la sua auto, le
sarebbe stato più facile muoversi con i mezzi pubblici, o magari persino a
piedi, dato che, dopo gli architetti in azienda, doveva vedere certi clienti
stranieri in un albergo vicino e poi spostarsi dall’altra parte della città per
un pranzo di lavoro.
Si diresse verso la piazzetta a pochi metri da casa
dove sostavano i taxi, ne prese uno che sopraggiungeva in quel momento e che,
per il timore di perderlo, costrinse a fermarsi di colpo.
Indicò d’un fiato la destinazione, poi tirò un sospiro
di sollievo, si tolse dalle spalle lo zainetto di pelle nera e lo appoggiò sul
sedile insieme alla borsa.
Notò allora una vecchia agenda blu. Era logora e piena
di carte e Nicole pensò, senza un motivo preciso, che esse fossero inserite a
casaccio non tenendo conto dei giorni e delle scadenze.
Si guardò intorno istintivamente, come per cercarne il
proprietario, ma nessuno era sceso dall’auto prima che lei vi salisse e la
macchina era ormai già lontana dal punto di partenza.
A Nicole era bastato distogliere appena lo sguardo
dall’agenda, intravedere i palazzi che scivolavano via, per reimmergersi nei
problemi della giornata quando una manovra improvvisa scosse la macchina e lei
fu costretta, per non perdere l’equilibrio, ad appoggiarsi con una mano sul
sedile.
Toccò involontariamente quell’agenda da cui, per il
sobbalzo, era uscita parzialmente una cartolina e notò il nome del
destinatario: “Paco Rodriguez”. La cartolina era scritta fittamente, con una
calligrafia minuta, certamente femminile, così diversa dalla sua, che era
irregolare e istintiva anche se non priva di una certa armoniosità.
“Che strano”, pensò subito Nicole, fermandosi a
riflettere su quel nome, Paco, che non aveva mai sentito, e sulla calligrafia
della donna che gli scriveva, così precisa ed intensa.
Dopo essersi guardata intorno, Nicole scostò la
cartolina un altro po’ fuori dall’agenda, con un gesto che voleva sembrare
disattento e casuale e che fu solo impacciato.
Nonostante fosse leggermente miope, si ostinava a non
portare gli occhiali e le riuscì impossibile decifrare la calligrafia troppo
piccola, né poteva avvicinare a sé la cartolina con il rischio che il tassista
la sorprendesse a curiosare.
Riuscì tuttavia a leggere l’indirizzo: la strada dove
abitava Paco non era lontana dalla sua casa e la conosceva bene perché vi si
recava spesso durante le sue passeggiate nel quartiere. Era una via stretta,
tortuosa come molte del centro storico, delimitata da case vecchie e
generalmente basse, priva di traffico. Resisteva ancora qualche negozio di
vecchi mestieri, come quello dove lavorava un gruppo di giovani scultori che si
dedicava al restauro di opere antiche.
Nicole non riuscì a leggere nulla del testo della
cartolina ma la sua attenzione fu attratta dalla frase finale, finalmente
leggibile anche a distanza, scritta a stampatello, che Paco doveva aver notato
subito: “Una di queste sere verrò a trovarti”. Poi seguiva la firma, che
tornava ad essere minuta e incomprensibile come il resto.
“Siamo arrivati”, disse all’improvviso il tassista
girandosi verso Nicole che aveva uno sguardo assorto, rivolto fuori dal
finestrino, e che fu scossa da quelle parole. Allora l’uomo notò l’agenda sul
sedile e non ne rimase affatto sorpreso. “Ci risiamo, Paco ha dimenticato la
sua agenda”, commentò rivolgendosi a Nicole, come se entrambi pensassero alla
stessa cosa, “chissà dove ha la testa quel benedetto ragazzo!”.
Nicole non rispose e, per la prima volta, guardò a
lungo l'autista che rimase in silenzio, poi senza fretta pagò la corsa. Sorrise
uscendo dalla macchina, e s’incamminò.
* Il racconto è pubblicato nell'Antologia Autori Contemporanei, Edi-thon 2012, Edizione Penna d'autore, Torino.
Il volume è edito da Il Club dei Cento di radio Italia Uno. Il ricavato della vendita sarà devoluto in beneficienza in favore della Fondazione Telethon per la ricerca sulle malattie genetiche.
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