di
Paolo Brondi
Ennio
Flaiano notava che la stupidità aveva fatto, grazie ai mezzi di comunicazione,
"progressi enormi", riuscendo a nutrirsi d'altri miti e persino a
ridicolizzare il buon senso. In una conferenza tenuta a Vienna nel 1937, Robert
Musil distingueva due tipi di stupidità: una "onesta" e l'altra "sostenuta".
La prima è il sintomo d'una mancanza d'intelligenza, la seconda dell'intelligenza
che sanziona il fallimento.
Quella
“onesta” è una sorta di domenica del pensiero, una specie di "paese dei
balocchi", della logica in cui frammenti di riflessioni errabonde
passeggiano tenendosi a braccetto, a volte urtandosi senza residui polemici,
altre volte suscitando irragionevoli émpiti di commozione. In quel regno di
stupidità spira una brezza lievemente ironica e dubbiosa, si ha la sensazione
d'una precarietà essenziale e ci si può trastullare senza colpa con
un'ispirazione fugace e distratta.
Al
contrario, nel regno della stupidità sostenuta non v'è spazio per il caso, la
mente è sempre indaffarata con pensieri che non riguardano la vita dei
pensatori medesimi ed è affaticata dall'esercizio continuo d'una intelligenza
prevaricatrice e superflua.
"Questa
stupidità sostenuta" - scrive Musil - "è la vera malattia della
cultura.” Descriverla è impresa quasi senza fine. Essa tocca i valori più alti
dello spirito e contribuisce a vivacizzare la vita spirituale, ma soprattutto
la rende incostante e sterile. Non v'è pensiero importante che essa non sappia
utilizzare, è mobile in tutte le direzioni e può indossare tutte le vesti della
verità. Non è una malattia mentale, eppure è la più letale delle malattie dello
spirito: è una malattia pericolosa per la vita stessa.
Nessun commento:
Posta un commento