(ap) I “racconti del sabato”: una
giornata della settimana, occasione di un racconto. E’ un momento particolare,
spesso infarcito soltanto di maggiori impegni, specie per una donna. Da
trascorrere correndo, con le ore ancora una volta contate, insufficienti.
Un tempo per fare ciò che si è
rimandato in attesa di trovare spazio tra le proprie cose, oppure, invece, per
dedicarsi a qualcosa di piacevole, divertente; leggere un libro, guardare un
film, uscire con amici di vecchia data. Trovare pace e serenità, piccoli
piaceri. Accade anche di non fare nulla, guardarsi intorno in casa, fare una
passeggiata. In compagnia dei propri pensieri.
Dopo alcuni racconti dal punto di
vista di una donna (Eliana,
Frida,
Agata),
in “Ettore” il protagonista è un uomo. Una famiglia, dei figli, un lavoro
impegnativo con poche ore libere, appunto il sabato. La passione per il
volontariato, seguendo l’insegnamento del padre, un medico che spesso visitava
gratuitamente la gente. Così, la conoscenza e la frequentazione di un giovane
disabile, con il quale nasce un rapporto profondo, fatto di amicizia,
di attenzione, di cultura: si risveglia in Ettore la passione giovanile
per Dante, pagine da leggere al ragazzo, il ritorno ai pensieri profondi del
sommo poeta.
Ma questa non è solo una storia di
dedizione e accudimento verso il prossimo. Dietro la solitudine del ragazzo,
c’è quella dello stesso Ettore, alle prese con un matrimonio traballante.
Una moglie così diversa da lui, sempre più lontana con il passare degli anni.
Un solco tra loro, l’impossibilità di comunicare, di scambiarsi una parola. Le
giornate trascorse senza dirsi nulla.
E persino il sabato diventa un nuovo
terreno di scontro ed incomprensione tra i due. Perché Ettore si occupa di
volontariato piuttosto che stare a casa, interessarsi delle faccende domestiche,
magari proprio quando ci sarebbe bisogno di lui per una riparazione, un lavoro
urgente?
La rottura del tubo dell’acqua, proprio
un sabato, mentre Ettore è con il ragazzo disabile e la moglie da sola deve
asciugare l’umido per terra, assume il valore simbolico di una divaricazione
delle esistenze. L’aridità di una relazione ormai senza sbocchi contro
l’umanità che si respira fuori casa. Finalmente un soffio di vita, persino di
felicità.
di
Marina Zinzani
Ettore non aveva molto tempo libero,
aveva qualche ora il sabato. Questo aveva detto al responsabile
dell’associazione quando si era offerto volontario.
Il volontariato l’aveva conosciuto
da giovane, poi più niente, aveva messo su famiglia, aveva avuto due figli, e
ora che erano cresciuti nella sua vita c’era un po’ di spazio libero, per sé,
per gli altri.
Così si era offerto di seguire un
ragazzo disabile, Luca, una vita difficile, di quelle in salita. La madre
cresceva da sola il figlio di quattordici anni, dopo la separazione dal marito.
Luca aveva bisogno di compagnia, di essere portato in giro, camminava a fatica,
c’era stato un ritardo nella crescita dovuto ad un problema durante il parto.
Pochi istanti che avevano cambiato la vita di tutti. Un medico che aveva
tentennato, non aveva proceduto al cesareo. La vita di una famiglia cambiata di
colpo, la nascita felice diventa dolore, pianto, diventa crudeltà del destino.
Di tutto questo rimaneva la madre, che aveva le forze di tante donne che non
possono far altro che combattere, reagire, anche se con giornate di profonda
crisi, e Luca, ragazzo solare con un temperamento dolcissimo. Si era aggiunto,
nel quadretto, un gruppo di volontari che si prendevano cura di lui, che lo
portavano in giro per Milano, erano giovani,
anziani, cercavano di stimolarlo, di farlo stare meglio. Era la Milano
dei volontari, persone silenziose e persone che soffrivano, incontro magico di
piccole conquiste quotidiane, anche quella di alleviare la solitudine. A volte
reciproca.
Ecco, la mattinata di Ettore aveva
un qualcosa di leggero, di felice quasi, uscendo dalla casa di Luca. Avevano
iniziato a parlare di Dante. Non sapeva Ettore come era iniziato il discorso,
era un argomento che per lui si era fermato ai tempi della scuola, e l’aveva
fatto sentire un professore un po’ buffo, improvvisato. Gli era venuta voglia
di riguardare degli appunti che ancora conservava in soffitta, aveva avuto una
grande insegnante allora, perché aveva saputo farlo incuriosire, il dono
principale che si può offrire a uno studente.
Aiutandosi con il tablet, Ettore
aveva trovato un testo interessante, e da lì poteva iniziare un percorso con
Luca. Il ragazzo aveva risposto entusiasta a quest’argomento. Ed Ettore ora
aveva una cosa da fare, nelle sere silenziose in casa: approfondire Dante, e
comunicare qualcosa al ragazzo.
Era felice Ettore, quando arrivò a
casa. Era mezzogiorno e non si sentiva il consueto profumo di cibo, odore di
sugo, gli odori della cucina, e neanche la tavola era apparecchiata. Niente. La
moglie era in bagno, sudata, stava finendo di asciugare il pavimento. Un mezzo
disastro, si era allagato tutto.
“Tu non ci sei mai il sabato! Non ci
sei mai quando ho bisogno! Ci sei per gli altri ma non per me, per questa
casa!”
Non c’era niente della donna che
aveva sposato, nell’immagine femminile davanti. Se uno avesse visto le foto del
matrimonio non avrebbe creduto che quella ragazza dal viso dolce si fosse
trasformata nella donna irrequieta, perennemente nervosa, che dava il più delle
volte un senso di deserto emozionale, un deserto la loro vita assieme, non sapere cosa dirsi,
scene mute al ristorante, solo del vago sapore del cibo si parlava, solo dei
figli, loro due no, erano diventati fantasmi, dopo tanti anni di matrimonio.
Senza neanche guardarlo, senza
guardarlo, senza accorgersi che forse lui avrebbe avuto qualcosa da dire, la
moglie si lavò le mani, continuando a parlare fra sé e sé a voce alta, della
lavatrice che aveva pochi anni, del tecnico che aveva chiamato due mesi prima,
dei soldi da spendere, era una tragedia, una mezza tragedia, era ore che
lavorava, si era allagato tutto, e lui, lui dov’era? A fare volontariato,
volontariato…
Famiglie diverse. Non ci si fa caso
all’inizio. Il padre di Ettore era stato nel volontariato fino agli ultimi anni
della sua vita, era un medico che visitava anche gratuitamente chi aveva
bisogno e non poteva permettersi di pagare. Aveva cresciuto il figlio con
questi principi, occuparsi degli ultimi, aiutare chi resta indietro.
Famiglia diversa quella della
moglie. Il denaro come principale valore, il capitale, un aspetto di facciata
che con gli anni aveva mostrato un palazzo pieno di crepe, pur ben nascoste. E
in questo un incrocio di mondi che, tolte le maschere, aveva reso i giorni, gli
anni, un insieme di parole non dette, di sensazioni non condivise, di vago
senso di vuoto, di nulla.
Alla fine mangiarono, un pranzo alla
meglio perché la moglie ancora si lamentava, e a tavola ribadiva che lui era
altrove, sempre altrove, quando lei aveva bisogno. I figli, che conoscevano le
sue continue lamentele, non vi prestarono caso più di tanto.
Si fece il pomeriggio, ed Ettore
trovò sul web un altro sito molto interessante, pezzi della Divina Commedia commentati
in maniera semplice ma anche profonda. Doveva mostrarlo subito a Luca, doveva
iniziare da lì, lo studio che sembrava interessare così tanto il ragazzo.
Non era il suo turno, il sabato
pomeriggio. Un altro volontario si sarebbe occupato di Luca. Ma Ettore aveva
voglia di lasciarsi la casa alle spalle, di sbattere la porta ed uscire,
uscire, respirare, per non soffocare. Si diresse con il tablet verso la casa del
ragazzo. Tentennò, quando vi fu davanti. Si fermò in un bar, prese un caffè.
Era ancora indeciso se salire a casa sua, prima che arrivasse l’altro
volontario.
Tentennò e all’improvviso si vide
per quello che era, un uomo che si aggrappava a un ragazzo sfortunato per
alleviare la propria solitudine, per trovare un senso.
Tentennò e si sentì fragile, come se
il terreno vacillasse sotto i piedi, un uomo che non riesce a prendere una
decisione, che ha famiglia ma è solo, un padre solo.
Non tentennò più. Poco dopo Luca
uscì di casa, e lui lo vide assieme al volontario del sabato pomeriggio. Sorrideva
il ragazzo, sembrava felice.
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