di Marina Zinzani
“Voglio che le persone che ascoltano la mia voce possano dimenticare i loro problemi per cinque minuti.” (Amy Winehouse)
Ci sono vite che rimangono nella memoria per molto tempo, vite di artisti, di attori e cantanti. Qualcuno un giorno pensa di farne un film. Un film è un tributo alla memoria, al talento, ma anche un portare alla luce la storia privata della persona, le inquietudini, le tortuosità, i segreti.
Il regista Sam Taylor-Johnson ha portato al cinema la storia di Amy Winehouse con il film “Back to Black”, uscito in questi giorni. L’interprete Marisa Abela offre un’interpretazione molto convincente della cantante.
Non sappiamo quali fossero realmente le inquietudini di Amy Winehouse. Si parte da un talento unico, da una voce eccezionale, da un ambiente familiare ricco di affetti, da un buon rapporto con il padre Mitch, sempre al suo fianco nella carriera e nei periodi bui.
Eppure ci deve essere stato qualcosa di oscuro se quel successo ottenuto in così breve tempo, suggellato da riconoscimenti ovunque, è stato accompagnato da una strada di alcol e droghe. L’amore complesso con il marito Blake le aveva fatto scrivere canzoni meravigliose, come “Love is a losing game”, ma l’aveva anche avvicinata al mondo delle droghe pesanti.
Sarà sempre un segreto l’origine di tanta fragilità, l’aver preso quella strada portata all’autodistruzione da cui non è più riuscita ad uscire. Si era creata una ragnatela che ne aveva minato il corpo, dimagrito, ricoperto di tatuaggi, con i segni evidenti dell’abuso di alcol e droga prontamente ripresi dai giornali.
Non è un tema semplice: le donne che si innamorano dell’uomo sbagliato, quasi cercato con meticolosità, portatore di sofferenze, appaiono avvolte da un segreto di cui è veramente difficile coglierne l’origine.
Quel segreto può essere una separazione dei genitori in giovane età, come nel caso di Amy, o amicizie sbagliate in cui l’eccesso era frequente, o una solitudine di base e il bisogno di attenzioni che chi era attorno non ha saputo cogliere. Perché la vita corre, il tempo corre, e chi si ha a fianco spesso non vede.
Ma anche i figli tacciono le loro inquietudini e i genitori restano in attesa di sapere qualcosa in più, ricevendo solo risposte sfuggenti. Si può parlare anche di solitudine dei padri e delle madri? Mitch Winehouse ha parlato più volte dei tentativi di recupero della figlia, dei suoi ricoveri per disintossicarsi dopo avere quasi toccato il fondo, ha scritto anche un’autobiografia in cui racconta anni di calvario e la sua impotenza di padre.
È complessa la mente umana, certi meccanismi danno un senso di impotenza. Quello che rimane ad un certo punto è il senso di solitudine e malinconia. L’ultima scena del film “Back to Black” mostra Amy nella sua casa nuova. È successo di tutto prima, ha avuto premi prestigiosi, è finita la relazione tossica con Blake, ma la sensazione che traspare è il senso di solitudine. Sola, con una vita percorsa così in fretta.
Il 23 luglio del 2011 Amy andrà a collocarsi in quel cimitero virtuale, chiamato il Club dei 27, perché muore a 27 anni, a causa dell’alcol ingerito dopo un periodo di astinenza. Ci sono nomi famosi in quel club, Jim Morrison, Kurt Cobain, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Brian Jones, tutti morti a 27 anni. Eppure avevano avuto uno straordinario successo e tanto denaro, avevano conosciuto persone famose che non avrebbero mai pensato di conoscere, il pubblico era stato ai loro piedi, affascinato, sedotto, ammaliato.
La droga è una facile spiegazione e anche l’alcol lo è. Ma prima di quella droga ci deve essere stata tanta predisposizione, e una certa infelicità. La pressione della stampa, la mancanza di libertà, l’impossibilità di uscire liberamente di casa perché assediati dai fotografi, le aspettative del mercato discografico, possono avere avuto un peso. Forse, semplicemente, mancava un vero amore che riempisse la vita.
Sono segreti che rimarranno tali. Sono i segreti che coinvolgono anche persone che si buttano via senza un apparente perché.
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