Giacomo Leopardi |
“L’infinito” di Giacomo Leopardi compie duecento anni: conserva la magia di
saper raccontare l’inquietudine eterna dell’uomo, tra bisogno di
infinito e consapevolezza dei propri limiti
(ap*)
In Italia e all’estero, è previsto un fitto programma di manifestazioni nel
2019 per il bicentenario de L’infinito,
la più nota delle poesie di Giacomo Leopardi. Dal Centro studi leopardiani di
Recanati all’Accademia mondiale della poesia, una moltitudine di
iniziative. Letture e riflessioni, ma anche musica, mostre,
rappresentazioni teatrali, persino sperimentazioni culturali, ritrovi amicali e
percorsi sportivi: uno sciame di occasioni eterogenee per festeggiare l’idillio
che dopo due secoli continua a smuovere emozioni.
Quest’opera
è legata ai ricordi della giovinezza, agli studi scolastici che ci permisero di
conoscerla, sul momento costringendoci contro voglia a faticosi esercizi di
memoria, come con tante altre opere. Oppure associata ai pensieri della
maturità, quando i versi sono risuonati nella mente, mentre la curiosità ci portava
a fare mille altre scoperte, leggendo per diletto o per professione.
Abbiamo
aperto testi risalenti nel tempo o semplici novità di stagione, opere eterogenee,
che spesso hanno avuto il potere di lasciare un segno, gioia o smarrimento,
sorpresa o riflessione, senza che riuscissero però ad oscurarne, dei versi leopardiani,
la magia. Per molti, si è creato un misterioso intreccio tra la poesia, così
carica di luce ed ambiguità, e le vicende personali, dalla giovinezza sino alla
maturità, creando suggestioni e spunti di riflessione.
Non
vi è stata solo una differenza di stagioni della vita a mutare il punto di
vista singolare su quei versi, ma un cambiamento più complesso e radicale, che
ha riguardato lo sfondo sociale, e dunque letterario, di riferimento, mettendo
in discussione la stessa ragion d’essere del fare poesia, e di farla a quel
modo.
Motivi
tutti che hanno moltiplicato i canoni di lettura del testo nel corso dei duecento
anni e reso ancor più difficile – per ciascuno, individualmente - avvicinarsi ad
esso. Impossibile farlo a cuore leggero, più spesso ci siamo avvicinati
all’Infinito con timore e inquietudine, sentimenti naturali di chi sia
consapevole di cimentarsi nella più improba delle imprese, il corpo a corpo con
una delle vette più alte della poesia di ogni tempo.
Una
esperienza, l’incontro con l’indicibile, da cui si esce ogni volta sfiniti e
quasi smarriti, e tuttavia desiderosi di ricominciare un’altra volta, e poi
ancora, al più presto, mai paghi dei pensieri raccolti, delle immagini evocate.
E semmai conquistati da una voglia irrequieta di capire, mitigata ma non vinta
dalla difficoltà di comprendere qualcosa in più, magari rassegnandosi nei momenti
complicati a girarci intorno, tenendo a distanza Leopardi nell’impossibilità di
afferrarlo tutto, ma senza mai perderlo di vista.
Il testo autografo de L'Infinito |
Scriveva
Italo Calvino
che classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire.
Molteplici gli spunti possibili, coltivati dalla critica in tanto tempo: la
riflessione storica sul Romanticismo, l’analisi lessicale-filologica delle
parole, la critica letteraria dei versi. Soprattutto il valore autobiografico
del testo, così rappresentativo della tensione vitale del poeta di Recanati, la
sua perenne oscillazione tra il bisogno di infinito e l’impossibilità di
raggiungerlo. Tra il desiderio di felicità che si vorrebbe non finisse mai
perché, osservava il poeta, “dove trova piacere, l’anima aborre che sia
finito”, e la percezione della difficoltà di realizzare il sogno di pienezza.
Ma,
in un contesto pur così ampio e complesso, proprio nella connessione tra vita e
parola, i versi leopardiani
hanno la capacità di superare indenni un lasso di tempo tanto esteso, come due
secoli, in cui tutto è mutato profondamente: il clima culturale, le audaci
speranze coltivate dalle nazioni e dai singoli, le tragiche cadute storiche del
‘900, le odierne incertezze esistenziali ed economiche sui destini comuni.
Con
L’infinito, il passare del tempo è
stato lieve e clemente. Come raramente accade nella scrittura. E’ rimasta una
fascinazione difficile da spiegare che non è soltanto lo spunto per leggere ancora il testo, approfondirne il significato,
ampliando il già vasto campo dei studi leopardiani.
Molto di più e anche di
diverso: quei versi rinviano immediatamente a noi stessi, aprono uno squarcio
sulla nostra esistenza, rivelandone oscurità e mistero. Bisogna lasciarsi
interrogare, non solo stupire. E ogni tentativo di definizione ci rende
perplessi ed insoddisfatti.
Appaiono tanto riduttive le categorie con le quali
spesso indichiamo gli atteggiamenti personali, o le sensazioni letterarie:
contemplazione e disillusione, abbondono mistico e scetticismo incredulo,
emotività istintiva e superficiale.
Non
importa essere credenti od atei, neoromantici o postmoderni, rivoluzionari o
conservatori. In comune possono tutti avere un irrinunciabile desiderio del
tutto, e una realistica consapevolezza del possibile fallimento, insieme però
alla convinzione di dover cercare strade nuove, e pur sconosciute, da
percorrere.
L’ambivalenza compiuto/infinito centra il cuore dell’inquietudine
umana, l’eterno anelito ad una dimensione di pienezza e felicità, e l’irriducibile
impulso a superare la caducità dell’esistenza.
Tabor (Recanati), il colle de L'Infinito |
Vi
sono limiti alla conoscenza umana: “l’ermo colle e questa siepe .. il guardo
esclude”. Sembrano invalicabili ma non sono ostili, meritano la nostra
gratitudine perché proprio l’ostacolo ci suggerisce di non fermarci, di
guardare oltre, al di là di ciò che si frappone tra noi e le più segrete
aspirazioni.
Però
la realtà ci impone un registro diverso, esige talvolta rinuncia ai sensi e completo
abbandono all’immaginazione. “Nel pensier mi fingo”: solo il pensiero permette
di esplorare quell’altrove misterioso che è nascosto e forse custodito oltre le
numerose difficoltà in cui inciampiamo nel quotidiano. Non è un impedimento
ulteriore “fingersi”, dunque immaginarsi soltanto, ciò che non è dato ammirare
concretamente: anzi conduce a scoprire ed ammirare la vastità dell’orizzonte.
“Al di là del porto c’è solo l’ampio mare. Mare eterno assorto nel suo mormorare”,
cantava Fernando Pessoa.
Se
esistono dei limiti, è possibile spaziare liberamente con la mente, e allora
nulla ci è più precluso, la vista si fa ampia e profonda sino a svelarci le immagini
del cuore: “gli interminati spazi, i sovrumani silenzi, la profondissima
quiete”. Nulla è più concreto di un sogno. L’infinito non è frutto ingannevole
di pura illusione, e questo modo così singolare ci permette di sperimentarlo.
Ricordarlo durante il nostro viaggio nel presente è un’insolita bussola tra
contraddizioni e stordimenti.
Possiamo
anche provare un senso di smarrimento, quasi di vertigine, abitando questa
dimensione, ma esso è frutto di meraviglia e pienezza, non di paura: ormai con
“le morte stagioni”, tutte le età già trascorse, è cancellata ogni traccia di
precarietà e di piccolezza, angustia e privazione. Avvertiamo l’incanto del
silenzio, e con esso un brivido di eternità.
* Leggi La Voce di New York:
* Leggi La Voce di New York:
Duecento
anni insieme: “L’Infinito” di Leopardi, poesia senza tempo
La più famosa poesia di Giacomo Leopardi nel 2019 spegne
duecento candeline. Una ricorrenza che sarà celebrata con importanti
manifestazioni
https://www.lavocedinewyork.com/arts/lingua-italiana/2019/03/06/duecento-anni-insieme-linfinito-di-leopardi-poesia-senza-tempo/
https://www.lavocedinewyork.com/arts/lingua-italiana/2019/03/06/duecento-anni-insieme-linfinito-di-leopardi-poesia-senza-tempo/
Nessun commento:
Posta un commento