(La casa di Giacomo Balla a Roma, ap) |
(Angelo Perrone) Conoscere il luogo dove l’artista è vissuto (siamo a Roma, via Oslavia) è un'esperienza suggestiva, specie in questo caso. Giacomo Balla (1871-1958), pittore, scultore, scenografo, coltivava l'idea dell'arte totale: non solo il singolo oggetto, inventato o immaginato, ma la stessa sua abitazione (luogo di ideazione e realizzazione) devono rispondere alla stessa concezione estetica.
Dalle cose di uso quotidiano agli accessori, alle rifiniture, tutto esprime il gusto dell’artista, ad inizio ‘900 di stampo futurista. Persino il bagno con certe mattonelle, o le pareti del corridoio con i quadri appesi precariamente in modo che siano mossi dal vento romano che si infiltra audace tra le stecche delle persiane, o i semplici pavimenti su cui ci si muove ogni giorno.
C’è la modernità incalzante del tempo nuovo, sorprendente e inarrestabile, che trasmette passione per il movimento, curiosità per la luce e la velocità. Dunque anche mobili, piastrelle, pannelli riflettono idee e suggestioni.
Del resto, sulle strade vediamo sfrecciare macchine di inaudita potenza, in cielo si alzano velivoli sospinti da eliche vertiginose. Ne siamo affascinati, sorpresi e galvanizzati. Il vortice, che coincide con la nuova epoca, ci incalza; è inevitabile, persino piacevole, provare a conservarne traccia nel quotidiano.
Con queste premesse, l'aspettativa è alta, forse eccessiva. Chissà cosa sogniamo di trovare, c’è l’illusione di incrociare in questi luoghi qualcosa capace di stupire ancora una volta, come forse era accaduto a Balla dimorando in queste stanze. Si attende, in una parola, un luogo “splendente”, acceso nei colori, ardito nelle soluzioni, perfetto come era nei sogni di Balla, e come le foto lasciano immaginare.
Inoltre si tratta di un bene gestito da un’eccellenza come il Maxxi, seppure di proprietà privata di certi eredi, capace di intercettare intelligentemente l’emozione di Balla. Da qualche parte, devono sempre esserci gli stessi sprazzi di luce, gli esempi dell’eccitazione emotiva del maestro.
Qui invece mancano, anche per la dimensione assai ridotta degli ambienti, esempi forti della produzione artistica. Si avverte la mancanza di attenzione per i particolari, con la conseguenza che la vetustà degli ambienti appare svilente. La meraviglia, che pure si avverte qui o là in certe soluzioni, è smorzata, compressa, tenuta sotto controllo, incapace di muoversi in scioltezza.
L’impeto che ha guidato l’artista in queste stanze avrebbe avuto bisogno di esprimersi senza contenimenti e confini, desideroso solo di nuove esperienze e sperimentazioni. Come se fosse sempre possibile l’audacia del nuovo in questi difficili tempi. Anche ora che lui non c’è più. Insomma si avverte che, con lui, forse manca nelle stanze un soffio di quello spirito ineguagliabile.
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