di Marina Zinzani
Quell’incontro non approfondito. Quella frase interrotta a metà. Lo sguardo di un padre verso il ragazzo della figlia, perplessità nascoste. Il litigio che non c’è mai stato per quieto vivere. Il sorvolare su una mancanza. Il cercare di capire una personalità e afferrarne solo una sfumatura.
Lo sguardo di complicità di fronte ad un’ispezione, pensieri nell’aria fra colleghi. L’abbraccio che non ha bisogno di parole, in un momento in cui le parole non arrivano. Quel complimento che non si riesce a fare ad un figlio, che va nella scatola dell’orgoglio silenzioso.
Il riconoscimento per quel momento in cui una parola ha aiutato, ma non si è riusciti a dire grazie. Il figlio che non approfondisce una lacuna affettiva. Il figlio che si sente meno amato rispetto al fratello ma non lo dirà mai alla madre. La rabbia che non esce e rimane dentro. Il senso di colpa che vaga per una, cento cose, come un uccello nel cielo che ogni tanto fa capolino e poi scompare.
La mamma che è stanca e vorrebbe protestare ogni tanto ma tace, e il giorno dopo è ancora in piedi, come niente fosse. Il lifting che non si farà mai, si accetta la decadenza, si ripiega su una buona crema per il viso.
Setsuko guarda i pesci che si intravedono nel fiume, l’acqua scorre, e pensa alle cose incompiute di cui è fatta la vita, le foglie cadute sulla scia dell’autunno riportano alle imperfezioni, al non detto, alla malinconia e anche alla consapevolezza che in quei momenti, in quell’attimo prima in cui ci si è fermati, c’è tutta la fragilità, il dubbio, l’incertezza, il cuore del vivere.
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