domenica 23 marzo 2025

La vendetta come strategia

(Altre riflessioni in “Il vittimismo politico, arma di vendetta e prevaricazione”, su Critica liberale 17.3.25)

(Angelo Perrone) Agli inizi degli anni ’80 il filosofo francese Pascal Bruckner (1948) denunciava in un celebre testo, Il singhiozzo dell’uomo bianco, gli eterni sensi di colpa dell’Occidente, causa di un rapporto malsano con il resto del mondo. Abbiamo trovato eco del concetto nei dibattiti infiniti sulle cause del conflitto in Ucraina, travisamento dei fatti e stravolgimento del rapporto di causalità.
Certe voci critiche sul sostegno al paese aggredito erano basate sull’assioma: se la Russia ha aggredito, la colpa è degli aggrediti, che hanno “provocato” l’aggressione, dunque l’invasione è comprensibile, giustificabile. E l’Ucraina aveva solo il difetto di volersi determinare autonomamente, arbitra del proprio destino.
La tendenza evidenziata da Bruckner rimanda ad un atteggiamento intellettuale che concerne il rapporto con il trauma, la vicenda storica, l’epoca pregressa, la realtà stessa, con l’aggiunta che può trattarsi di un passato reale o solo immaginario, ricostruito a posteriore in buona fede, o meno.
Purtroppo si tratta di un atteggiamento non solo a livello emotivo individuale ma anche politico. Gli effetti sono i medesimi, attuali. Il passato diventa alibi a giustificazione del presente e ogni azione a quel punto è ammissibile, con esiti sproporzionati, abnormi.
C’è una distorsione interpretativa a causa della quale le avversità del presente sono ricondotte a malvagità altrui. Si costruisce un sofisticato meccanismo di colpevolizzazione del mondo esterno, che agisce come maschera per nascondere l’incapacità di affrontare e gestire i problemi. È una patologia del vittimismo che travalica l’ambito singolare della persona: cerchiamo in altri le colpe di ciò che ci succede anziché guardare in noi stessi. 
Ora la retorica impregna il sistema delle relazioni politiche. Se assistiamo al declino dei valori occidentali, e se appare meno solida la fiducia negli ideali di libertà, indipendenza, giustizia, dopo la diserzione dei paladini americani, dobbiamo chiederci quanto questa diffusa pratica di colpevolizzazione compiuta dalle presunte vittime alteri la chiave di lettura della storia e provochi distorsioni dannose.
Ma per non cadere nella medesima trappola intellettuale va anche aggiunto che, senza seguaci, non ci sarebbe un pifferaio magico capace di incantare e che non ci sarebbe alcun bravo attore sul palcoscenico, senza un pubblico disposto ad ascoltarlo in silenzio rinunciando a fischiarlo all’occorrenza.
La strategia del vittimismo, assunta a pilastro retorico della politica odierna, richiama l’eterno dilemma radicale su cui confrontarsi: come ci si affranca delle sventure, in generale come si superano i problemi, reali o immaginari o amplificati a dismisura.
Potremmo persino scoprire che non sia poi così seduttivo il panico seminato a piene mani per annebbiare la vista e giustificare ogni abominevole sopruso. Non ci sono molte varianti.
Come nel privato, non rimane che scegliere, per così dire, tra due filosofie: affrontare le avversità nella prostrazione e nel rancore vendicativo contro nemici reali o presunti, oppure farne saggiamente occasione di rinascita, recupero delle energie vitali e motivo di rinnovamento. Rimboccandosi le maniche e scegliendo bene gli amici.

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