mercoledì 12 marzo 2025

Solitudine acquatica

di Bianca Mannu

(Tratto dalla raccolta “Dove trasvola il falco”)

Smarrita
Mi sono smarrita
Tra le radiografie
- dove già sono scheletro -
Mi sono smarrita
Tra le ricette crittografate
tra le <impegnative> 
che sciupano 
il tessuto sottile
dei miei contatti umani
che sfibrano 
la mia esistenza sociale.

Mi ero assopita 
tra le voci del corpo
-come fossero liberi suoni
privi di destino e di scopo.
Ma erano oscuri richiami
trasfusi in un vento 
oblioso e sicario.
Campane a martello
- idioma perduto -
traversano la mia storditezza.
Costretta.
All’ufficio protesti
riscuoto - con tassa di mora -
avvisi inerti e negletti.

M’imbatto nei miei malumori
- strinata e straniata in frammenti -
senza potermi incontrare.
Li bagno e li assemblo 
con liquide liane
adoprando l’umore smorfioso
d’una piscina deserta.
Fingo affogare il mio male
nell’acqua clorata 
in quel suo tepore uterino
che
chiude fuori il vento
e il malcontento
del giorno invernale.

Tento il brivido dell’annegamento
con immersioni fasulle
in un metro di fondo
equamente spartito
tra mattonelle celesti.
E mi volto – supina -
 E l’acqua sorniona tempesto
con le mie pale scomposte
per
respirare a bocconi
un’aria liquida di sapore basico
per
tossire e tossire
un’aspirazione di luce
in una geometria sfocata.

Il cielo resta - irraggiungibile
come vestigio di sogno resuscitato -
a sfumare oltre i lucernai
oltre
la trascendenza dei cirri.
La mente sbologna 
nel dorso corporeo
le sue paure
fidando nella tenuta
di superfici stagne

Ora sto -
quale una /uno 
che ancora gode le briciole
di prosperità in declino -
a galleggiare dondolando
come dentro una culla
così cedevole
così benignamente inaffidabile
ma così
assolutamente morbida
da escludere dall’esperienza 
 il concetto di angolo
a profitto di quello di seno
che accoglie - senza reggerle -
le deprecate mollezze -
slavine morali su cedimenti d’ossa.

Pupille invaghite dello zenit 
vanno a pesca di nuvole filiformi
assurdamente intrappolate
dalla scacchiera dei lucernai
- incongruità degli spazi -
Il sole vive a tratti.
Ed è subito fantasma cilindrico
teso a congiungere poligoni di cielo
con le geometrie cavernose
di questo bagno lustrale.

Qui - al di sopra dei tropici -
l’acqua sciaborda ancora
nei centri di modesto benessere.
Anche in questo prisma
- che scimmiotta 
 fresca cilestrità di fonti inviolate -
l’acqua gloglotta nei tubi
- genio romano antico docet.

Acqua
- mansuefatta in vasca -
ha pretese da specchio
Ma chioccola - cortese -
per impulso di corpi alieni
E appanna per essi
la fragile sua limpidezza.
Lasciata alla piana 
sua solitudine inerziale
si distende – adagio - a dormire
ciangottando ai raggi devitalizzati
d’uno spettro di sole.

Fusi di corpuscoli accesi
- tremanti per memoria di vita -
cedono i frantumi
alla rete diafana 
d’una sinuosa nebbiolina
ch’evolve senza suono
a piangere
addosso alle vetrate di gelo
addosso alle facce dei muri
inutilmente dipinti di atmosfere celesti

Qui e ora
io
- fascio di sensi che di me
come di nessun altro dice -
qui mi congiungo
con la mia stanchezza precoce
E lei - l’acqua prigiona -
risponde con brevi gocciolii
al proprio affrancamento dal mio peso
che invece mi ritorna addosso
come una maledizione.

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