Tra tutti i movimenti corporei, la grafia è quella che dà
maggiori informazioni sulle emozioni del soggetto
di Paolo
Brondi
I gesti del “corpo” possono far pervenire a
significati mancanti più che le parole, specie quando lo scambio verbale è reso
impossibile o dall’intensità dell’angoscia o in presenza di meccanismi
difensivi. Il corpo si prolunga, attraverso l’ampiezza dei suoi movimenti; o,
nell’attualità, per opera di strumenti che gli conferiscono un enorme potere (o
l‘illusione del potere.) come l’automobile, il computer, i media in genere.
Tutti questi prolungamenti, reali o immaginari,
suggeriscono che non è vero che il corpo è “aggredito” solo quando è “toccato”
(fisicamente o emozionalmente). Il trauma può venire da lontano: da tanto
lontano che, talvolta, nemmeno lo si sente arrivare e furtivamente si insinua. Nondimeno,
il “corpo” metabolizza l’espressione della sua sofferenza, dei suoi traumi,
attraverso vari sintomi: le manifestazioni psicosomatiche; i disturbi
psicomotori del comportamento; le espressioni simboliche.
La scrittura, in particolare, può costituire l’espressione
privilegiata di una sofferenza non verbalizzata; permette l’emergenza di
un’angoscia non detta: è la manifestazione apparente di conflitti potenziali
con la collettività di cui è mezzo di comunicazione. L’atto di scrivere,
infatti, presenta la particolarità di essere una funzione che dipende dal corpo
e dal pensiero, ed i cui meccanismi fisiologici sono in correlazione con lo
stato organico del sistema nervoso centrale e variano con le modalità di questo
stato.
Un esempio? La proiezione sulla scrittura della
malattia parkinsoniana: la grafia diventa micrografica, salvo ritornare normale
con assunzione del farmaco opportuno.
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