Lugano |
Un dialogo immaginario
con l’amore di un tempo, il racconto del presente intessuto da malinconia e
ricordi
di Paolo Brondi
Ma Luisa era davvero
felice? Molti erano i segni rivelatori di una sua sottile inquietudine: per
quale motivo, anche dopo il matrimonio, aveva conservato la sua casetta nei
pressi di piazza Bernardino Luini, con tutti i mobili; con il comò ove stava
costantemente la fotografia del suo primo amore, Luca ? Perché sentiva il
desiderio di tornare con crescente frequenza a quella sua casa, per passare lì
ore di clandestinità a comporre lettere pur senza mai inviarle?
Nonostante l’agiatezza
raggiunta, non aveva lasciato l’insegnamento e quando usciva da scuola, mentre
la figlia era inserita in un corso a tempo pieno e il marito non sarebbe
rientrato se non dopo le 19, si rifugiava in quella sua casa e qui, sentendosi
al riparo da ogni sguardo interrogativo, nel ricco silenzio dell’immagine
sempre ammirata del suo Luca, ritrovava lo spazio della più vera comunicazione
con sé stessa e il cui frutto deponeva, con minuta grafia, su pagine rosa e con
contenuti di intensa compartecipazione emotiva.
Luca, amore mio,
l’immagine tua è
sempre qui, nel mio mondo di rappresentazioni e di sentimenti e nel pensiero di
dove sei, di cosa stai facendo, stai pensando e amando. Il tempo se ne va e
consuma le cose più belle, le nostre cose, la nostra giovinezza e un amore
apparentemente assurdo, che non mi travaglia, ma mi addolcisce e si fonde con
quel nuovo sentire che ha te in un nostalgico orizzonte, e mio marito nel
presente di ogni giorno.
Due sentimenti, non
contrastanti ma complementari, orientano il mio pensiero in un medesimo punto e
con una colorazione di malinconia. Malinconia per verità trascorse e vanamente
ricorrenti, per quel rivolgimento nella mia vita che se ha portato giorni
radiosi, il nostro amore, nostra figlia, pure ha favorito un succedersi di
sofferenze e di duri confronti: il distacco, la lontananza dalla famiglia,
l’assenza di ogni tua notizia. Una malinconia che un poco si attenua, nella mia
quotidianità, quando trovo occasioni di rinverdire il ricordo di te attraverso
un tempo che non corre innanzi, ma quasi si ferma.
Mi è accaduto anche
ieri, girando per Lugano. Sai, Lugano è bella e ogni volta ne scopro sognanti
realtà. Ieri ho indugiato fra il bellissimo gioco di colonne e archi del
porticato ottocentesco di via Pessina, sentendomi dentro un tempo di diversa
durata rispetto alle ore del giorno, un tempo immobile, ma non rigido, bensì
colmo dei doni della memoria di te, di me, uniti in questo profumo di lago e di
storia. Sono poi andata in Piazza Maraini a far compere di pane, frutta, e
verdura, in bottegucce dal respiro antico e mi sono anche concessa un mazzo di
rose: rose rosse, come quelle che tu mi regalavi. In Piazza Grande mi sono
seduta al Caffè Federale, ho ordinato un caffè e, tolta una mela dal saccoccio,
ho preso a morderla pian piano come facevo, come facevamo, in quella nostra
estate: quando il sole filtrava tra gli alberi, e noi, in silenzio, gustavamo
la frutta di stagione, scambiandocene il sapore nei baci, e baci e baci, quanti
baci e carezze, ricordi? Sull’argine del fiume, sotto i castagni del bosco,
dietro il fienile che faceva ombra alla luna.
Luca, amore mio
lontano,
ieri, 20 settembre
1979, ho incontrato Giuseppe Prezzolini. Che emozione! Ci ha ricevuto nel suo
studio, tutto aperto sullo splendore del monte Bré. Mio marito cura gli
interessi bancari di molte persone importanti e anche di Prezzolini.
Se ne stava seduto
in poltrona, carico di anni, ma con timbro di voce sempre vivo e modulato in
toni ora più metallici, ora più fini, più pacati. Ancora bello il suo viso,
addolcito da un tenero sorriso e dagli occhi che, pur oltre lo spessore delle
lenti, si posavano su me con bagliori di intelligenza, di paterna ammirazione.
Aveva sentito
parlare di me, della maestra del sentiero della fiaba e, lasciando mio marito e
al suo segretario il compito di discutere degli interessi finanziari, si è
rivolto a me con parole profetiche: «Lei, signora maestra, deve sapere che è
depositaria di una profonda verità. Vede, io sono stato e sono pessimista in
tante cose, sui poteri costituiti, sulla libido dominandi che
ancora oggi è vincente, ma credo fermamente nei buoni costumi che fanno bella e
temperata la civiltà, nella necessità della loro difesa e della loro
continuità. È alla scuola, agli insegnanti che compete questo straordinario
compito: depositari ed educatori della buona, pura civiltà, per moltiplicarne
il valore attraverso le fresche energie dei giovani. Ma a lei, mia bella
signora, non devo insegnare niente, lei ha già messo in pratica quello che io
dico ed è molto più brava di me che mi limito a predicarlo!»
Ai saluti, mi ha
abbracciata e il tocco della sue mani così grandi, così tenere, mi ha colmato
di una intensa e nuova felicità: la mia vulnerabilità, la mia fragilità si è
sciolta in radiosa certezza di tempi migliori.
E' semplicemente commovente, struggente, come appunto la nostalgia che fa dolcemente male al cuore per l'amara consapevolezza che ormai quei tempi, quegli attimi, quel sentire sono andati e possiamo solo rimembrarli come attraverso una teca di cristallo antisfondamento, come sulla sponda al di là di uno Stige inguadabile.
RispondiEliminaAlessandro Di Ciolo