venerdì 5 aprile 2019

Voci del cuore

Lugano
Un dialogo immaginario con l’amore di un tempo, il racconto del presente intessuto da malinconia e ricordi

di Paolo Brondi

Ma Luisa era davvero felice? Molti erano i segni rivelatori di una sua sottile inquietudine: per quale motivo, anche dopo il matrimonio, aveva conservato la sua casetta nei pressi di piazza Bernardino Luini, con tutti i mobili; con il comò ove stava costantemente la fotografia del suo primo amore, Luca ? Perché sentiva il desiderio di tornare con crescente frequenza a quella sua casa, per passare lì ore di clandestinità a comporre lettere pur senza mai inviarle?
Nonostante l’agiatezza raggiunta, non aveva lasciato l’insegnamento e quando usciva da scuola, mentre la figlia era inserita in un corso a tempo pieno e il marito non sarebbe rientrato se non dopo le 19, si rifugiava in quella sua casa e qui, sentendosi al riparo da ogni sguardo interrogativo, nel ricco silenzio dell’immagine sempre ammirata del suo Luca, ritrovava lo spazio della più vera comunicazione con sé stessa e il cui frutto deponeva, con minuta grafia, su pagine rosa e con contenuti di intensa compartecipazione emotiva.

Luca, amore mio,
l’immagine tua è sempre qui, nel mio mondo di rappresentazioni e di sentimenti e nel pensiero di dove sei, di cosa stai facendo, stai pensando e amando. Il tempo se ne va e consuma le cose più belle, le nostre cose, la nostra giovinezza e un amore apparentemente assurdo, che non mi travaglia, ma mi addolcisce e si fonde con quel nuovo sentire che ha te in un nostalgico orizzonte, e mio marito nel presente di ogni giorno.
Due sentimenti, non contrastanti ma complementari, orientano il mio pensiero in un medesimo punto e con una colorazione di malinconia. Malinconia per verità trascorse e vanamente ricorrenti, per quel rivolgimento nella mia vita che se ha portato giorni radiosi, il nostro amore, nostra figlia, pure ha favorito un succedersi di sofferenze e di duri confronti: il distacco, la lontananza dalla famiglia, l’assenza di ogni tua notizia. Una malinconia che un poco si attenua, nella mia quotidianità, quando trovo occasioni di rinverdire il ricordo di te attraverso un tempo che non corre innanzi, ma quasi si ferma.
Mi è accaduto anche ieri, girando per Lugano. Sai, Lugano è bella e ogni volta ne scopro sognanti realtà. Ieri ho indugiato fra il bellissimo gioco di colonne e archi del porticato ottocentesco di via Pessina, sentendomi dentro un tempo di diversa durata rispetto alle ore del giorno, un tempo immobile, ma non rigido, bensì colmo dei doni della memoria di te, di me, uniti in questo profumo di lago e di storia. Sono poi andata in Piazza Maraini a far compere di pane, frutta, e verdura, in bottegucce dal respiro antico e mi sono anche concessa un mazzo di rose: rose rosse, come quelle che tu mi regalavi. In Piazza Grande mi sono seduta al Caffè Federale, ho ordinato un caffè e, tolta una mela dal saccoccio, ho preso a morderla pian piano come facevo, come facevamo, in quella nostra estate: quando il sole filtrava tra gli alberi, e noi, in silenzio, gustavamo la frutta di stagione, scambiandocene il sapore nei baci, e baci e baci, quanti baci e carezze, ricordi? Sull’argine del fiume, sotto i castagni del bosco, dietro il fienile che faceva ombra alla luna.

Luca, amore mio lontano,
ieri, 20 settembre 1979, ho incontrato Giuseppe Prezzolini. Che emozione! Ci ha ricevuto nel suo studio, tutto aperto sullo splendore del monte Bré. Mio marito cura gli interessi bancari di molte persone importanti e anche di Prezzolini.
Se ne stava seduto in poltrona, carico di anni, ma con timbro di voce sempre vivo e modulato in toni ora più metallici, ora più fini, più pacati. Ancora bello il suo viso, addolcito da un tenero sorriso e dagli occhi che, pur oltre lo spessore delle lenti, si posavano su me con bagliori di intelligenza, di paterna ammirazione.
Aveva sentito parlare di me, della maestra del sentiero della fiaba e, lasciando mio marito e al suo segretario il compito di discutere degli interessi finanziari, si è rivolto a me con parole profetiche: «Lei, signora maestra, deve sapere che è depositaria di una profonda verità. Vede, io sono stato e sono pessimista in tante cose, sui poteri costituiti, sulla libido dominandi che ancora oggi è vincente, ma credo fermamente nei buoni costumi che fanno bella e temperata la civiltà, nella necessità della loro difesa e della loro continuità. È alla scuola, agli insegnanti che compete questo straordinario compito: depositari ed educatori della buona, pura civiltà, per moltiplicarne il valore attraverso le fresche energie dei giovani. Ma a lei, mia bella signora, non devo insegnare niente, lei ha già messo in pratica quello che io dico ed è molto più brava di me che mi limito a predicarlo!»
Ai saluti, mi ha abbracciata e il tocco della sue mani così grandi, così tenere, mi ha colmato di una intensa e nuova felicità: la mia vulnerabilità, la mia fragilità si è sciolta in radiosa certezza di tempi migliori.

1 commento:

  1. E' semplicemente commovente, struggente, come appunto la nostalgia che fa dolcemente male al cuore per l'amara consapevolezza che ormai quei tempi, quegli attimi, quel sentire sono andati e possiamo solo rimembrarli come attraverso una teca di cristallo antisfondamento, come sulla sponda al di là di uno Stige inguadabile.
    Alessandro Di Ciolo

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