Il 23 maggio
1992, la strage di Capaci. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la lezione
civile del coraggio e della speranza
(ap *) Il sorriso di
due uomini accompagna da anni la nostra vita, quella pubblica delle
istituzioni, quella individuale dei cittadini e infine quella intima di noi
uomini del nostro tempo.
Fu colto da un
fotografo attento in un istante che precedette la tragedia, prima che il vento
folle della violenza spazzasse via le due vite. Non servono oggi ricorrenze
particolari, ed anniversari, per ricordare quei due uomini, né occorre
menzionarne i nomi, perché già scritti per sempre nel nostro cuore e nelle
nostre menti.
Nei primi tempi,
quell’immagine fu ritagliata dai giornali dell’epoca in modo spontaneo e
diffuso. Fu fatto con attenzione, rispetto, persino timore di profanare
qualcosa di sacro, quasi fosse una preziosa reliquia. C’era del pudore in tutti
quelli che si avvicinavano a quell’immagine, che la ritagliavano, che la
prendevano in mano per guardarla.
Essa venne
incorniciata con mezzi di fortuna, approssimativamente, ed esposta negli
uffici, nei luoghi di lavoro, in qualche casa. Comparve sulle pareti, sulle
scrivanie, sulle porte. Si diffuse ovunque. Ancora è possibile vederla in molti
luoghi.
Le mani che lo
fecero erano mosse da intenti diversi. Il ricordo affettuoso di colleghi,
operatori della giustizia, amici, cittadini qualsiasi; il monito civico della
collettività; talvolta solo la consolazione privata di alcuni rispetto a
costumi pubblici e privati di ben diverso segno rispetto al senso del dovere
collettivo, alla moralità dei comportamenti, alla prassi della serietà
pubblica. Ideali apparsi a molti traditi, ma anche ritrovati, comunque mai
smarriti.
Quel sorriso, dopo
tanti anni, non si è spento, ha continuato a far vivere l’utopia della buona
giustizia, a trasmettere il messaggio interiore per cui la viltà ha perso la
sua battaglia, non ha più spazio nelle coscienze, è destinata a cedere il passo
alle buone maniere, al rigore irrinunciabile dell’etica individuale e comune.
Quel sorriso non
solo è sopravvissuto alla tragedia (Falcone, 23 maggio 1992 – Borsellino, 19
luglio 1992), ma ha cominciato ad illuminare di luce nuova le coscienze e il
loro modo di operare. Esso trasmette una sensazione di serenità nell’affrontare
impegni gravosi, di leggerezza di fronte alla serietà del dovere, e soprattutto
di fraternità tra persone unite da ideali comuni.
Scrisse Italo
Svevo: “Si piange quando si grida all’ingiustizia”. Gli ha simbolicamente risposto
uno dei due uomini: “L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è
saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa”.
Non dunque atteggiamento spavaldo ed incosciente, ma gioia di vivere, serena
consapevolezza del proprio dovere, traendone persino il desiderio di una pacata
allegria per un momento vissuto con un amico fraterno.
Quell’immagine insegna come il sorriso
possa vincere il tempo e l’oblio, l’indifferenza dei pavidi, sorreggere ogni
sogno, raccontare parole vive e senza tempo ad ognuno di noi. Da allora,
possiamo entrare serenamente nel bosco oscuro e freddo, pieno di sterpi e
animali selvatici. Non abbiamo più paura.
* Leggi su La Voce di New York:
* Leggi su La Voce di New York:
...questa e' quella che preferisco:
RispondiElimina"Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare".
Giovanni Falcone