Due vite
lontane, ognuno con i propri pensieri, poi quell’attimo in cui entrambi
prendono in mano il loro telefono
Racconto
di Giovanna
Vannini
Battiti accelerati, il calore sale al volto e
quella smania di arrivare al momento per rivederlo. Ancora Ilaria non si
trovava a suo agio in quella nuova situazione, in quella impasse. Donna libera,
dal bagaglio sempre pronto, dalla curiosità sempre accesa per terre lontane, da
visitarsi senza fretta, assimilare tramite i suoi scatti, portare e tenere
dentro a seconda del grado di piacimento.
Ora Sergio metteva a repentaglio il suo
continuo imbarcarsi, il suo rivedere il peso dell’amore. Sarebbe dovuta star lì
con la testa a editare le ultimi fotogrammi scattati in Normandia ripercorrendo
i giorni dello sbarco, sotto i colpi del tempo d’Oceano, fatti di pioggia che
va in sole e di sole che va in vento. Davanti al suo pc, alle sue immagini da
mettere in bella, si ripeteva la domanda: “Lo chiamo o gli messaggio?”
Sergio addentò l’ultimo morso della
bruschetta appena calda con fette di lardo di Colonnata. Il boccone si
scioglieva nel palato, la fetta tostata si mescolava al lardo sciolto che ne
insaporiva la mollica. Un calice di Chianti da sorseggiarsi a fine pasto, stava
lì davanti al piatto, sul tavolo del giardino, per una delle prime cene di
primavera all’aperto. A Sergio le cose piaceva farle con grazie, garbo,
ricercatezza, fosse anche solo una cena frugale come quella in solitario, un
momento suo, strappato con non poca fatica al suo mestiere di meccanico di auto
epoca.
Domani sabato, avrebbe ridato vita al suo
piccolo giardino assopito dall’inverno, tagliando l’erba, estirpando la
gramigna, rimettendo la terra mancante nei vasi di bosso e, se gli fosse
rimasto del tempo, piantando le fioriture di stagione nel vaso a conca
appoggiato sulla bocca del grande paiolo di rame del bisnonno Mario, un tempo
utilizzato per la preparazione degli insaccati del salumificio di famiglia, ora
diventato fioriera invidiata e richiesta dalle mogli e le compagne degli amici.
Domani sabato, avrebbe goduto dell’odore di
erba tagliata, di terreno smosso, di annaffiatura del dopo concimato. Ad Ilaria
Sergio non pensava, pensarla solo era poco. La sentiva nello stomaco, la vedeva
negli occhi, gli correva sui nervi. E quella cena in solitudine e le premesse
messe a fuoco per domani, non furono più abbastanza.
Ilaria saturò di colore il cielo e il mare di
Omaha Beach, lasciando in grigio le batterie dell’esercito alleato che
fuoriuscivano come schiene di ippopotamo dalla bassa marea. Mise testa, parole
e immaginazione per produrre una didascalia alla foto, di quelle alla “sua”
maniera, emozionale, che non spiega l’immagine ma ne va oltre. Quella miscela,
connubio, armonia, tra foto e scrittura, era il suo modo di guadagnarsi il
necessario per vivere, senza sprechi né follie, ma l’appaga, le bastava. Si
portò le mani al volto in un gesto di arrivata stanchezza.
Le 22 era scritto sul display del
cellulare. Ilaria
chiamò Sergio.
Sergio bevve un dito di limoncello in
bicchierino freddo. Tirava vento, e vuoi il freddo del liquore, vuoi la sola
camicia a pelle, dovette alzarsi, entrare in casa, prendere il golf lasciato
sulla sedia nel corridoio al suo rientro. Sulla consolle accanto c’era il
telefonino, volutamente messo silenzioso per non essere disturbato durante
tutto quel tempo.
Le 22 era scritto sul display. Sergio
chiamò Ilaria.
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