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(Edward Hopper) |
(Angelo Perrone) La pioggia sottile scivolava sul vetro del caffè, le luci della strada distorte in lunghe strisce tremolanti. Sedeva al tavolo, la tazza stretta tra le mani, come se il suo calore potesse compensare il vuoto che sentiva dentro. La donna, con un cappellino arancione calato sugli occhi e un cappotto verde che sembrava assorbire il buio della sera, osservava il vapore salire dalla sua tazza. Era sola, in quell’assenza.
Davanti a lei, il bancone era vuoto. Il locale, solitamente animato, era immerso nel silenzio, rotto solo dal ticchettio delle gocce sul vetro. Pesava quel silenzio, eco di conversazioni non avute, di sguardi non incrociati.
Pensò a John, alla lettera che gli aveva spedito la settimana prima e che probabilmente non avrebbe mai avuto risposta. Le loro vite si erano separate, come strade che all'improvviso svoltano in direzioni opposte, senza un perché. Si era ritrovata a camminare per strade che non sentiva più sue, tra volti che non conosceva e storie che non le appartenevano.
Quel caffè era il suo rifugio, sospeso tra il giorno e la notte. Qui non doveva fingere. Qui, la solitudine era un tavolo, una sedia, il riflesso del volto nella finestra.
Alzò la tazza, il vapore le avvolse il viso. Un uomo passò velocemente all'esterno, un lampo di impermeabile giallo che scomparve subito. E lei rimase lì, immagine fissa in un mondo in movimento, in attesa che la sua tazza si svuotasse.
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