Corriere della sera, 10.7.24 |
(Angelo Perrone) La decisione della Corte d’Appello di Brescia sulla strage di Erba è di quelle che lasciano il segno, addirittura inammissibili le “nuove” prove richieste dalle difese, non si farà un altro processo. Nonostante la credulità di tanti innocentisti della prima e dell’ultima ora.
L’ergastolo per Rosa Bazzi e Olindo Romano è confermato. Era questa del resto la decisione sia in primo che in secondo grado, la cosiddetta “doppia conforme”, di solito dirimente, poi confermata infatti dalla Cassazione.
L’11 dicembre 2006 uccisero a colpi di coltello e spranga Raffaella Castagna, suo figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e infine la vicina di casa Valeria Cherubini. Il marito di quest'ultima, Mario Frigerio, fu ferito ma non mortalmente, e poi testimoniò. Contro i due, oggi in carcere. E poi c’era tanto altro, tracce ematiche, confessioni, riscontri. E inutili le ritrattazioni.
Molte cose pronunciate in aula, ha osservato il procuratore generale sembravano «dette da chi non conoscesse gli atti», non sapesse come si erano svolte le cose, e quanto era stato provato, oltre ogni ragionevole dubbio.
Non è l’unica volta che le prove e i processi non bastano, anche quando hanno uno sviluppo lineare, senza contraddizioni. Per tante vicende non è un problema di ricerca della verità. Si sviluppa un meccanismo perverso, mediatico o giudiziario o politico: dubbi, insinuazioni, perplessità. Si forma il sospetto di una macchinazione che tutto attraversa, e implica il coinvolgimento delle istituzioni. A discapito di poveri innocenti, scelti volta a volta per impersonare la parte.
Stavolta, la novità, è rimasto coinvolto anche un magistrato, al quale si deve l’iniziativa della revisione, ora smentita dalla Corte bresciana. Quel Cuno Tarfusser che, come giudice della Corte penale internazionale dell’Aia (quella che ha incriminato da ultimo Putin e Netanyahu) avrebbe dovuto saperne tante.
Macchè, è lui che ha promosso questa singolare richiesta di revisione. Un’iniziativa anomala non perché provenisse da un pubblico ministero contro una sentenza di condanna, ci mancherebbe, è sempre un organo di giustizia.
Ma per i modi usati (rapporti diretti con i difensori delle parti, assenza di interlocuzione con l’ufficio di appartenenza: è stato censurato dal Csm). E per le parole pronunciate sulla vicenda, sui giudizi precedenti, sulla loro correttezza.
C’è altro nel rispetto delle “regole burocratiche”. Dietro alle “deleghe” ad agire nella materia o nel caso specifico, ci sono questioni di garanzia, anche formale, e di imparzialità. Pure di trasparenza.
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