di Marina Zinzani
Irene, 34 anni, ufficio reclami.
Comincia la giornata e l’ansia mi assale. Ogni tanto arrivo a sera con l’intenzione di licenziarmi, mi dico che ci deve essere un limite a tutto, che la sopportazione non può essere infinita. La gente arriva da me con la faccia agguerrita, ha voglia di insultarmi, prima ancora di spiegarmi il problema del loro elettrodomestico che non funziona.
La gente crede che io abbia qualche colpa in merito, dato che faccio parte della ditta, non sapendo che qui tante cose non funzionano, a cominciare dai miei capi.
Con il senno di poi, ho capito perché si era liberato questo posto, perché l’altra dipendente se n’era andata, si vociferava per via di un mezzo esaurimento nervoso. Dovevo intuire, prevedere che questo posto era l’inferno.
D’altronde è un ufficio reclami, cosa si poteva pretendere dall’ufficio reclami? Che le persone arrivassero qui con un problema, certo, un problema che li ha fatto parecchio innervosire a casa, un televisore che non funziona, una lavatrice che non lava come dovrebbe, chissà la rabbia a casa, il recriminare sui nostri prezzi super scontati, chissà quanto hanno inveito marito e moglie a casa, ad incolparsi di non essere andati nel negozio della concorrenza a fianco, che ha prezzi molto più alti.
Ho conosciuto l’impiegata del loro ufficio reclami, è sempre sorridente ed ha poco lavoro. Io invece sono uno straccio, e non mi posso permettere di perdere questo lavoro. Un bel problema. L’altro giorno ho toccato il fondo, mi sarei messa a piangere.
La forte tensione era iniziata dalla mattina, una coppia che è rimasta davanti a me per mezz’ora, la moglie con voce gracchiante e il marito che le dava colpe dell’acquisto sottocosto, poi un ragazzo con fare supponente che aveva usato un linguaggio velenoso, dicendo che ci avrebbe diffamato sul web, e così via, altri insulti fino al pomeriggio, quando è entrato un uomo alto, grosso, mi ha infangato con una serie di improperi che mi hanno fatto quasi perdere la parola, mi è salito un groppo alla gola. Avrei voluto abbandonare il posto sul momento, e invece avevo la mia faccia consueta, con un tono che doveva essere gentile, e dovevo essere paziente, usare le solite parole.
Dietro di lui c’era un uomo, uno sui cinquant’anni. Ha visto tutta la scena, ha visto come quel tizio mi ha trattato. Quell’uomo è stato stranamente gentile con me, è stato garbato, forse un po’ ironico sul fatto che è la terza volta che viene all’ufficio reclami, ma ha avuto alla fine un sorriso per me, era come se mi volesse dire qualcosa, “Coraggio, cercati un altro lavoro, o se resti fregatene di tutto”. Non so, forse era solo la sua natura, la sua voce bassa e i suoi modi educati. Ce ne fossero di persone così.
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