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"Le notti bianche" di Fëdor Dostoevskij

di Liana Monti

Una storia d’amore, al termine della quale lei ne esce felice con l’amore della sua vita mentre lui rimane da solo.
Parrebbe questo il contenuto del romanzo, ad una lettura un po' veloce e superficiale. Ma ad una osservazione un po' più attenta emergono spunti di incredibile profondità del dramma di un amore incompreso, che comunque ha portato luce in una vita in cui c’erano solo nebbia, buio e solitudine.
La trama si svolge nel periodo di quattro notti in cui due persone, un uomo e una donna, dopo essersi incontrati casualmente, per questo breve periodo di tempo imparano a conoscersi, rispettarsi, aiutarsi, sostenersi e quasi a promettersi amore e un futuro insieme.
I due personaggi ogni notte si incontrano, parlano delle loro passate vicissitudini. Conversano con grande rispetto, amicizia, interesse, seduti su una panchina o camminando per le vie della città. Un sottile e casto confine fra i due viene sempre mantenuto e delineato da un abbraccio, una stretta di mano, pianti e sorrisi, senza mai superare quella barriera.
Un turbinio di emozioni domina i dialoghi e i buoni propositi.
Quando tutto fra di loro sembra andare per il meglio e verso una svolta positiva per la loro possibile futura unione, proprio a quel punto capita un evento improvviso, inizialmente tanto atteso ma alla fine non più sperato e quasi dimenticato. In un attimo tutto cambia, e tutto finisce.
Rimane la tristezza, l’autocommiserazione, la solitudine. “Io, di certo, sono un uomo assai semplice un uomo così, insignificante.”
Durante la lettura troviamo alcune parole che sembrano poste a caso, ma che sono un velato collegamento ad altre sue opere “Uomo ridicolo” e “Povera Gente”.
Le notti bianche sono terminate, la scintilla dell’amore che le illuminava si è spenta. Torna il giorno, torna l’oscurità e anche il sole non illumina, i raggi del sole non arrivano e poi il tempo cambia e piove. Il fatto di sottolineare le caratteristiche atmosferiche, a questo punto, serve a marcare e aiuta a capire quale sconforto si trova nell’animo dello sventurato. Immagini che esprimono lo stato d’animo meglio delle parole.
“Giornata triste”
“Nella mia camera c’era buio”
“Anche di fuori tutto era triste, fosco, nebbioso”
Sembra anche di notare una sorta di velato messaggio nella scelta numerica che ci guida nel percorso di una vicenda non così scontata. Appare come un conto alla rovescia.
Quattro, le notti durante le quali si svolge la vicenda.
Tre, i personaggi coinvolti attorno ai quali ruota la storia.
Due, i principali protagonisti.
Uno è l’istante di felicità. Uno è colui che narra la vicenda con la prima persona, che arriva da solo e ritorna solo. Un cuore solitario di un uomo del quale non conosciamo il nome e questo forse quasi a sottolineare che il nome non era un elemento importante nemmeno per lui stesso che senza di lei si sarebbe sentito un nulla, uno zero.
Nutritosi di un veleno dolcissimo che si chiama sogno, torna infine alla cruda e amara realtà. Torna alla quotidianità anonima dalla quale proveniva e che aveva vissuto prima di incontrare questa donna.
Con parole di una estrema delicatezza si giunge al termine della storia con una nota anche positiva e un ringraziamento per quella donna che per un brevissimo periodo ha fatto risplendere la notte di raggi di speranza e felicità, anche se breve, ma capace di lascare un segno prezioso e indelebile nel cuore.
“Che tu sia benedetta, infine, per l’istante di felicità, di gioia che hai concesso ad un altro cuore solitario e riconoscente!”

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