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"L’ultimo giorno di un condannato a morte" di Victor Hugo

di Liana Monti

Ci troviamo in Francia, in una cittadina come tante. Il protagonista è un uomo ancora giovane di cui non conosciamo né il nome, né la professione, né quasi nulla del suo passato, solo un dettaglio è certo: condannato a morte. Sa di essere colpevole, è consapevole di ciò che ha commesso, sa che la sentenza non poteva essere molto diversa.
Nonostante questo un filo di speranza si nasconde nel suo cuore, perché un cuore ce l’ha anche lui, nonostante il suo crimine. Potrebbe sempre arrivare la grazia, almeno desiderare che non tutto sia perduto, in fondo, non è un errore.
La speranza si alterna costantemente alla disperazione. Questo passaggio è sottolineato dalle parole stesse così come dal richiamo dei colori che lo colpiscono di più. Passiamo quindi dall’azzurro del cielo, che vedrà prima di entrare in carcere e poi solo quando ne uscirà nella sua ultima ora.
Ma ancora più insistente è il colore nero, che come ombre del suo destino lo osservano, lo vigilano come guardiani oscuri delle tenebre e li ritrova attorno a sé: Così ecco la vettura nera, una nera volta ogivale, le lettere nere, il tutto è così nero, la nera cappella, la torre nera, tutto sarà nero.
“Che mi diceva dunque l’avvocato? L’ergastolo? Ah, sì, mille volte meglio la morte, piuttosto la forca che il bagno penale, piuttosto il nulla che l’inferno. Preferisco dare il mio collo alla ghigliottina che al collare della ciurma.”
Poi arriva la consapevolezza che, nonostante tutto, c’è ancora una cosa buona da poter fare.
“Il solo mezzo con il quale si soffre meno è quello di analizzare la propria sofferenza.
La magia della scrittura, del raccontare sé stesso, in una sorta di “autopsia intellettuale” pur sentendosi un nulla perché “parlano davanti a me, di me, come di una cosa.” “Io sono un miserabile … quello che scriverò non sarà forse inutile.”
Così chiede ai suoi carcerieri se è possibile ottenere inchiostro, carta e una lampada da notte. Inizia poi a prendere nota, dei suoi pensieri in un diario che porterà avanti fino al momento in cui non gli sarà materialmente possibile proseguire.
Così come quel giorno, quando era ancora bambino, in cui si era recato in cima al campanile di Notre Dame e ‘’All’improvviso l’enorme campana suonò e io terrorizzato si sentii sull’orlo del precipizio” capì di essere arrivato oltre il consentito.
Così ora, anche negli ultimi istanti della sua vita, la speranza torna come un alito di vento e continua a chiedersi se non è forse ragionevole tentare di immaginare la possibilità della grazia concessagli per chissà quale magnanima benevolenza della sorte possa esistere e che invece non arriverà e il solo pensarlo era stato osare troppo.

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