di Marina Zinzani
Maria, 45 anni, impiegata.
Sono le sette di sera, arrivo a casa, e nessuno ha fatto ancora niente in cucina. Mio marito è arrivato mezz’ora fa ed è sul divano, i miei figli, due maschi di venti e venticinque anni, sono nella loro camera. Tutto è fermo, in attesa di me.
Nessuno ha pensato a questa poveretta che dopo otto ore di lavoro arriva a casa e deve fare tutto. Ci sono ancora i resti del pranzo, mio figlio maggiore ha messo il piatto nel lavandino, poteva metterlo anche nella lavastoviglie, già che c’era. Troppa fatica. Tanto fa tutto la mamma.
Devo preparare la cena, in fretta. Dare una riassettata veloce per rendere questa cucina meno caotica, spazzare, dare una pulita anche al fornello, non mi piace mangiare in un posto in disordine e sporco. E poi mettere il tegame con l’acqua, prendere dal freezer un sugo, fare la tavola. Tocca a me, nessuno mi aiuta.
Tutti hanno avuto una giornata pesante, fra un po’ ognuno accennerà alla sua, della mia giornata non interessa a nessuno. Dei grattacapi continui sul lavoro, della collega che è spesso velenosa, del direttore che è così lunatico che siamo in balia dei suoi umori. Però, d’altronde, il destino di una donna è questo, no? Lavoro, casa, figli. È lei che si dà da fare.
Solo che ogni tanto una parola, una parola gentile non guasterebbe. “È buono questo piatto, mamma”, oppure “Lascia fare a me, pulisco io oggi, sdraiati sul divano, sarai stanca.” Devo avere sbagliato qualcosa nell’educazione con i miei figli. Forse. Ne arrivano poche di parole gentili, non ne ricordo, negli ultimi anni.
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