di Marina Zinzani
Marco, 14 anni, studente.
In questa classe dovevo finire. Con il grande orco che terrorizza tutti e prende di mira chiunque non gli vada a genio. Io sono il primo della lista, chiaramente.
Ho tutte le caratteristiche: ho buoni voti, sono introverso, un po’ solitario, non dico parolacce come i miei compagni, non rido per le cose che l’orco dice, non partecipo, provo orrore che un personaggio del genere diventi il terrore di una classe, e non solo della mia.
I professori latitano, minimizzano. Forse hanno paura anche loro, pensano che le cose stanno andando sempre peggio, non sanno come risolvere il problema del bullismo, è una faccenda complessa, deve partire dall’alto la soluzione, o dal basso, dalle famiglie.
Di fatto le mie giornate sono un inferno. Le vessazioni ho smesso di contarle, ognuna è sempre più originale, pericolosa. Ecco, mi dico che devo farmi forza. Devo estraniarmi da tutto questo e pensare che passerà, che l’orco sarà bocciato, o espulso dalla scuola, e si potrà vivere in pace.
C’è una mia compagna che assiste alle angherie dell’orco, e mi guarda con empatia. Non è pena, c’è un sentimento di vicinanza. Anche lei conosce quel tipo di torture, è stata presa di mira più volte. Mi guarda e vorrebbe dirmi qualcosa, poi non dice niente, è molto timida, come me.
Dovrei parlarle, sfogarmi con lei. Forse una parola gentile per entrambi può aiutare.
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