Il confronto tra Joe Biden e Donald Trump: una lezione per la politica e la società civile
(Sintesi dell'intervento pubblicato su Critica liberale 2.7.24 con il titolo "Biden, la democrazia e il viale del tramonto")
(Angelo Perrone) Mai facile affrontare il viale del tramonto, che è inesorabile, e arriva prima di quanto ciascuno se l’attenda o confidi.
L’esito disastroso del duello televisivo di Atlanta con Donald Trump ha rappresentato per Joe Biden molto più che una disfatta dinanzi al pericoloso avversario.
Nel dibattito è risultata esplicita la condizione fragile del presidente in carica, che già appariva un candidato debole. Non è stato Trump a vincere, perché era il solito Donald, toni accesi e tante bugie.
Il tono di voce basso e roco, l’incertezza nelle risposte, la sensazione che perdesse il filo del discorso, la scarsa prontezza nel ribattere: hanno dominato la comunicazione di Biden nel tentativo di persuadere l’opinione pubblica del paese.
Quanto fatto o promesso da Biden è passato in secondo piano. Così, d’improvviso è cambiata la domanda centrale della campagna elettorale americana. Non più quale sarà l’esito della sfida cruciale tra Biden e Trump per la presidenza. Ma chi sarà in grado di convincere il testardo Biden a fare un passo indietro.
Questo è un momento da cui dipendono in buona parte le sorti della democrazia americana di fronte alla minaccia della seconda presidenza Trump, tratti autoritari, contenuti rancorosi e vendicativi, e con esse quelle del mondo occidentale.
Le circostanze tutte di questa fase della politica americana segnalano quanto grandi siano le difficoltà di ricambio generazionale persino all’interno di un paese vivace e attento alle novità come appunto gli Usa. I contendenti sono comunque persone molto anziane, l’offerta politica oltre che datata è anche inefficace.
Il viale del tramonto ha aspetti che segnano in modo crudele il passaggio del tempo: diventa esplicito – con le condizioni di salute - il declino delle ragioni stesse che hanno contraddistinto situazioni precedenti, e hanno dato valore all’opera dei protagonisti di allora. Nel 2020 Biden poteva spendere l’immagine di grande vecchio tornato in campo a difendere la cittadella democratica in pericolo.
Oggi rischia di apparire un uomo testardo, che non vuole abbandonare il potere a dispetto dell’evidenza. Il profilo egoistico e irrazionale prevale sulla saggezza. Questa insistenza a sua volta minaccia di facilitare un altro eccentrico egoista: l’altrettanto vecchio e testardo Trump, populista, pronto a sovvertire le regole della democrazia. L’esito, comunque disastroso, nasce dal fallimento del ricambio generazionale.
È affannosa ora l’individuazione di sostituti di Biden che possano salire in corsa sul carrozzone presidenziale, ammesso che il grande vecchio faccia il bel gesto. I nomi che emergono (Harris, Newsom, Whitmer, Pritzker) non convincono, e soprattutto non hanno l’audacia di mettersi contro, e di gettarsi nella mischia con un po’ di necessaria spavalderia.
Difficile dire quanto lo stallo di cui soffre la democrazia americana (ma per tanti versi anche l’Europa e l’Italia hanno problemi analoghi) dipenda dai padri ostinati, e quanto invece derivi dal difetto di crescita delle nuove generazioni e dal loro fallimento.
Alla fine della difficile decifrazione del fenomeno, risulta malato il rapporto padri-figli, e con esso il legame che dovrebbe unire passato e presente. Le vecchie figure a tutti i livelli (politica, società, scuola) non sanno preparare le nuove generazioni, in una parola non sanno educare i figli reali o simbolici, così entrano in un vortice di narcisismo: il potere è fine a sé stesso.
I figli d’altra parte, se animati da intraprendenza, indulgono alla mera contestazione senza riconoscere il debito dovuto al passato, oppure ricadono dell’indifferenza.
L’alleanza con i padri rimane essenziale ma a condizione che essa non limiti la libertà dei figli. Il patto nuovo dovrebbe essere ricostruito su altre basi, perché le nuove generazioni possano assumersi il compito di tracciare la loro via con coraggio.
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