Il 5 agosto di 56
anni fa, a 36 anni, moriva la Monroe, icona del cinema, della bellezza, ma anche
simbolo di una vita sfortunata
di Marina Zinzani
Parlare
di Marilyn Monroe oggi, a distanza di 56 anni dalla sua morte, avvenuta il 5
agosto 1962, appare quasi doveroso. Ogni anno quel giorno è ricordato dai
giornali, dalla tv. Si ricorda la sua morte precoce a 36 anni, in uno scenario
ancora avvolto dal mistero. Fu suicidio? Fu uccisa? Quali erano in quel momento
i rapporti con John e Robert Kennedy?
La
trovarono nuda nel letto, con il telefono in mano. Un tentativo di chiamare
aiuto, o un’abile messinscena. Comunque sia la verità, Marilyn continua ad
essere presente nella memoria collettiva, e difficilmente si riesce a
catturarne il vero motivo. Non è l’unica attrice di Hollywood ad essere morta
giovane. Non è l’unica che ha avuto diversi matrimoni, tre per la precisione.
Non si ricordano interpretazioni memorabili, ma soprattutto la sua figura, la
sensualità del suo corpo che aveva sedotto l’America e non solo.
Ma
è rimasta nel cuore. Ha superato decenni complessi, si è visto tanto, dopo,
generazioni così diverse da quelle dei loro padri, la caduta di ideali e di
valori. Ma oggi, a guardarla, sembra che il tempo non sia passato, e lei è lì,
a suggerirci cose che non riusciamo bene a captare, ma che devono essere così
vere da permanere nella coscienza collettiva, consentendo di continuare a
ricordarla, ad amarla, forse a comprenderla.
E
forse per comprendere Marilyn bisognerebbe parlare di Norma Jeane Baker,
cresciuta senza un vero padre, e con la madre alle prese con depressione e
disturbi psichiatrici. L’orfanotrofio e la solitudine, il desiderio di trovare una
stabilità con il matrimonio. Un primo,
con James Dougherty. Poi un secondo, con Joe Di Maggio. E un terzo, con Arthur
Miller. E poi altre relazioni, fra cui quella con Yves Montand e John Kennedy.
E in mezzo la notorietà, arrivata dopo un po’ di tempo in modo prepotente,
legata soprattutto alla sua immagine di icona sexy che faceva sognare .
Si
mischiano le due figure, Marilyn appare una donna vincente, che affascina il
mondo, bellezza e seduzione in un corpo perfetto, e poi c’è Norma, alle prese
con i fallimenti sentimentali, con quell’amore mai trovato, con i ricordi del
passato che non l’hanno mai abbandonata, il timore di diventare pazza come la
madre, la depressione nonostante il mondo ai suoi piedi.
Un
dio crudele che le ha dato tanto fuori e le ha tolto molto dentro, e il suo
baratro era accompagnato dal peso dei
suoi fallimenti sentimentali, da una
fragilità psichica che le impediva di vedere il lato positivo della sua vita.
Essere spogli, quando ci sono lacune affettive.
La
sua storia appare un insieme di opposti, una maschera idolatrata e un volto
sofferente. Al di là degli eventi di quel 5 agosto 1962 sentiamo empatia per la
sua sofferenza, per la sua morte prematura, su cui non è mai stata fatta piena
luce. Personaggio scomodo alla fine, questo si intuisce. Personaggio alla
ricerca di un amore impossibile, da
persone forse poco interessate a Norma.
Solo
Joe Di Maggio le porterà fiori sulla sua tomba, fino alla sua morte. Forse era
lui l’approdo tanto cercato. Ma i fantasmi del passato, le nebbie, le acque
agitate non fanno spesso vedere ciò che può essere un faro, la salvezza.
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