di Lorenzo Mullon
Raccolta di
poesie
Prefazione
di Lella Costa
Fra le piazze, le vie e gli incroci, sempre più
gremiti, della poesia, tra i flussi e riflussi delle migliaia di uomini che si
volgono oggi all’esercizio dei versi come a un’ultima spiaggia, Lorenzo Mullon
si muove (Da una trincea di vento,
Moretti e Vitali, 2018) con la grazia di un danzatore, la forza d’un guerriero
e la leggerezza di un funambolo. Da anni egli trascrive i suoi versi su dei
foglietti sparsi o su degli smilzi fascicoletti e li offre ai passanti, ai
frequentatori di parchi, a chiunque incontri mentre vaga tra Venezia (dove
abita) e Milano.
Benché privi di ogni alone da “poeta laureato”,
lontani mille miglia dal gusto dell’invenzione inusitata, rarefatta o preziosa,
i suoi testi non sono certo opera di un naïf: la voce che in essi parla ha un
timbro schietto e umano ma per nulla propenso alla retorica del genuino, al
rito dei sentimenti facili, popolari. Nella sua apparente semplicità si
annidano semi di una verità da scoprire lentamente, scintille di una bellezza
segreta, profonda.
Da una trincea di vento è la sua prima raccolta “ufficiale”.
Percorrendola in lungo e in largo i lettori saranno colpiti dalla forza
sapiente di questi versi, di queste immagini in continuo movimento, degne di un
maestro taoista.
Il punto ideale d’approdo dell’opera di Mullon è un
inno delicatissimo e forte alla leggerezza. Sentirsi leggeri significa per lui,
anzitutto, comprendere che “grande” e “piccolo” come “semplice” e “complesso”,
e perfino “male” e “bene”, sono soltanto parole con cui cerchiamo di possedere
l’inafferrabile: il vento dello spirito che percorre senza tregua noi e il
mondo. Se ci arrendiamo al vento, e arrendendoci ci svuotiamo del peso delle
idee unilaterali e capziose, la nostra visione delle cose si dilata
immensamente.
Mentre possiamo finalmente riconoscere che “nulla di
nostro / è nostro veramente / tranne / un filo di voce / e una radice / nel
mare”, riusciamo anche a sentire le voci che “abitano sotto le pietre / si
nascondono / dietro le nuvole” o dimorano “nel silenzio dei boschi / nelle
acque ferme / della laguna”; mentre ci è concesso capire che nessuno di noi è
meglio di un mendicante (non siamo forse arrivati su questa terra nudi, privi
di tutto?), in modo altrettanto chiaro ci si rivela la nostra fantastica
ricchezza, il nocciolo sacro, immortale del nostro essere, quel quid irriducibile
alle miserie storiche che ci colloca altrove, che fa di ognuno di noi,
potenzialmente, un dio: “è il nostro respiro a muovere il vento / siamo noi a
far tremolare le stelle…”
bello..! una raccolta di formule magiche nascoste dentro poesie...basta leggerle, anche a bassa voce perche' nel cervello si apra un collegamento......questo e' l'effetto che fanno a me gli scritti di Mullon.
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