Les demoiselles, di P. Picasso |
di
Marina Zinzani
(Introduzione di Angelo Perrone)
(ap) Racconti dedicati alle
emozioni. Il passaggio dalla sensazione di un momento a qualcosa di più
duraturo è ciò che divide l’emozione fugace da altro, come il sentimento profondo
che può durare una vita. Non è una differenza di poco conto. In un primo
momento ci sentiamo avvolti da qualcosa, persino storditi, incapaci di reagire,
poco lucidi; solo dopo con il tempo ci rendiamo conto di quello che è accaduto,
possiamo farcene una ragione. Magari consolarci e fare pace con le nostre pene.
Guardando al futuro.
All’inizio invece capita di fare i
conti con un grumo dentro, un groviglio che ci fa vedere tutto nero. Un torto è
il fattore scatenante, però può essere reale o solo immaginario, magari ci
siamo sbagliati a interpretare un gesto, un comportamento. Non c’è la
lucidità per comprendere quello che è accaduto, per scendere nel profondo.
Sentivamo di avere un’opportunità nelle scelte di vita, sono rimaste tradite da
qualche accidente: le cose sono andate storte, non è servito a nulla lavorare
tanto per quell’obiettivo.
Tanto può bastare per provare
rancore: è un misto di frustrazione e delusione quello che ci invade, nutrendo
la mente di rabbia. Contro qualcuno, qualcosa. Forse persino contro noi stessi,
così inquieti e storditi in quell’attimo. Non ci rendiamo conto che la
percezione dei nostri rapporti con gli altri è del tutto falsata.
I valori in
cui crediamo ci sembrano irraggiungibili, le risorse di cui disponiamo
inadeguate. La concorrenza sociale troppo tenace: finisce per frenare ambizioni
legittime, mimetizzate in un senso di inferiorità. Un corto circuito provoca un
disturbo devastante nei nostri desideri.
Dopo Sabrina, dedicato all’invidia, Ilaria sulla rabbia, Rosa incentrato sulla malinconia, Giacomo sul senso di colpa, Maurizio, dedicato al rimpianto, Alessia sul rimuginare, Alessandro
sulla paura, ecco il "risentimento".
Cala
la sera, calano le ombre, arrivano i fantasmi. Chi sei? Sono quella che eri, e
non sei più. Dove abiti ora? Da nessuna parte, sono nell’aria, invisibile.
Perché sei andata via? Perché hai dovuto combattere, ed hai perso.
Sono
una donna che si è costruita da sola. Che ora ha una brillante carriera,
costruita con le proprie forze. Il successo me lo sono guadagnato giorno dopo
giorno, dedicandovi tutte le mie energie, e la mia determinazione mi ha portato
a tanto. Carriera e una vita abbastanza agiata, e un giorno avrò anche una
buona pensione. Ho fatto tutto da sola, io. Non ho da ringraziare nessuno.
Non
certo mio padre. La sua preferenza per mia sorella è stata la prima mia ferita,
quella che mi ha condizionato da sempre. Il sentirmi brutta, insignificante, di
serie B. Perché i genitori hanno un figlio preferito? Il prediletto è quello
che prende la sua giusta dose di parole buone, che aiutano a crescere, che lo
nutrono e gli danno l’autostima che gli serve per andare nel mondo ed
affrontarlo, per difendersi e farsi valere. Il prediletto è colui che coglie i
raggi del sole, nelle ore principali del giorno, all’altro figlio ci sono i
tiepidi raggi della sera. Il prediletto ride, ha tanti amici, ha una leggerezza
che si porterà dietro tutta la vita, mietendo successi, ogni cosa gli è facile,
certo ha le difficoltà di tutti ma per lui le cose andranno decisamente meglio.
Infatti
mia sorella si è sposata giovane, ha trovato subito l’uomo giusto, in un
corollario di soddisfazione e gioia, sì, gioia, da parte dei miei genitori. Me
la ricordo ancora, il giorno del suo matrimonio, tutto era perfetto, tutto era
stato studiato nei minimi particolari eppure ogni cosa sembrava naturale, la
scioltezza in cui lei si muoveva, il suo sorriso radioso, la mano di suo marito
che stringeva così forte la sua, in chiesa, ogni cosa era la rappresentazione
dell’amore.
Io
ero sola, in quei giorni. Triste. Sono l’unica nella foto ufficiale del
matrimonio che non sorride. Sono quella mora, mentre lei è bionda, con i
capelli ondulati, bionda con i colpi di sole che accentuano la sua luce, il
sole su di lei. Io l’ombra, e lo sguardo malinconico. Una ferita dentro, il
ragazzo che amavo, come si ama per la prima volta, con tanta intensità senza
difese, mi aveva appena lasciato.
Anni
dopo avevo anch’io il mio matrimonio, ma non era tutto così perfetto. Lui non
mi teneva la mano in chiesa, sorrideva poco, era un po’ nervoso. E anch’io non
ricordo quel giorno come il più bello della mia vita, così si dice. C’erano
parenti che erano un po’ distanti da me, non li vedevo da anni alcuni, e quei
baci mi sembravano di circostanza, se non imbarazzati. Anche quel giorno mia
sorella catturava l’attenzione, il sole e i suoi capelli biondi, il bambino
nella sua pancia enorme che stava per nascere, e tutti a chiedere quanto manca,
come si chiamerà.
Due
anni dopo mio marito mi ha tradito. E’ stata la fine per me, il matrimonio non
è il rifugio, il luogo protettivo dove si trova l’amore, non sempre. Sono
andata avanti, ho resistito. Tornare dai miei, chiedere la separazione, no, non
me la sentivo. Siamo diventati distanti, il nostro matrimonio veleggia ora, a
distanza di anni, fra alti e bassi, lui mi ha giurato di non avere avuto più
storie, ma in me è morto qualcosa dentro.
In
quei giorni forse è nata la mia determinazione, ho deciso di accettare un
incarico importante, e così il lavoro ha preso i miei pensieri, sembrava un
balsamo lenitivo, stavo meglio, non pensavo, solo determinazione, arriverò in
alto, ecco, vedranno quanto valgo, tutti, tutti vedranno che non sono insignificante,
che mi sono fatta un nome. E dirò anche dei miei stipendi, perché no, e che
farò strada, fino in cima.
L’ho
fatta, la carriera. Il denaro non mi manca. Però mia madre non sembra
particolarmente attenta a me, ai miei risultati, e mio padre adesso ha tutta
l’attenzione verso il figlio di mia sorella, nipote amato, ai suoi successi
nello sport. Mentre io non ho voluto figli, la carriera richiedeva tempo,
dedizione e pochi impegni familiari.
Mio
marito è ancora con me. Facciamo qualche viaggio lontano, almeno una volta
l’anno. Ci siamo presi un cane che lui porta fuori, io rientro sempre tardi.
Rientro quando le altre donne hanno già cenato. Rientro nell’ora in cui le
strade sono quasi deserte. E la città si ritira, in una lenta malinconia.
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