La
riforma della prescrizione è un tema da sottrarre alle
polemiche politiche. La “ragionevole durata” del processo dovrebbe essere legata ai tempi della decisione del giudice
nel singolo caso
La giustizia, mezzo di scambio nella lotta
politica
(ap *)
La proposta di sospendere
la prescrizione nei processi penali a partire dalla sentenza di primo grado
merita di essere sottratta alle polemiche politiche di questi giorni. Certo,
non è facile farlo, è complicato parlarne serenamente per diversi motivi: il
modo in cui è stata avanzata, la rivalità tra leghisti e grillini, l’insieme
dei pregiudizi che accompagnano spesso questo tema, i timori di molti in
materia di garanzie processuali.
Il
movimento 5Stelle l’ha proposta quasi di soppiatto in un decreto avente altro
oggetto (il contrasto alla corruzione), secondo un metodo non nuovo in questi
pochi mesi di vita del governo gialloverde. Un modo di svalutare il tema e di
usarlo strumentalmente nei rapporti di potere con l’alleato leghista. Le
dinamiche tra i due partner si giocano su un terreno che nella forma vorrebbe
essere di collaborazione, ma nella sostanza sono spesso di contrasto,
sottintesi, colpi di mano veri o presunti (le manine che ritoccano i testi
predisposti).
Gli accordi sono spesso approssimativi perché scontano visioni e interessi contrapposti. Approcci politici differenti nonostante la concordia apparente, oltre alla rivalità elettorale, portano a trasformare questioni delicate come appunto quella della prescrizione in un’occasione di contesa politica.
Gli accordi sono spesso approssimativi perché scontano visioni e interessi contrapposti. Approcci politici differenti nonostante la concordia apparente, oltre alla rivalità elettorale, portano a trasformare questioni delicate come appunto quella della prescrizione in un’occasione di contesa politica.
In
cambio del decreto
sicurezza, voluto fortemente dalla Lega ma indigesto a molti dei 5Stelle,
ci vuole una iniziativa più in sintonia con le sensibilità dei grillini. Le
politiche di condono fiscale sostenute da Salvini vanno compensate con altre
ispirate alle parole d’ordine “onestà, onestà”. A rimarcare la propria
identità, nulla di meglio, per i 5Stelle, dei temi della giustizia, in
particolare quello dell’impunità quando i processi si concludono con la
prescrizione.
Tuttavia
la riforma della prescrizione non può essere un “emendamento”, né merce di
scambio politico, pena la svalutazione di un dibattito serio, la sua derisione,
la strumentalizzazione della giustizia ad altri fini. Proprio la constatazione
che l’argomento-prescrizione sia invischiato in un dibattito che non le
appartiene spiega quanto sia difficile mettere un “punto e a capo”, e
ricominciare a discuterne in un modo libero da pregiudizi. Magari sfidando
luoghi comuni e valutazioni sommarie.
A
parlare della riforma della prescrizione, si corre il rischio di esaltare la
logica dei processi infiniti? Si manifesta il gusto di perseguire gli innocenti
sino alla sfinimento? In una parola, significa condividere quell’ottica deformante
che, con significati strumentali, viene racchiusa nel termine di
“giustizialismo”?
Come garantire la durata ragionevole dei
processi
La durata
dei processi, che la stessa Costituzione indica come valore primario, è
questione troppo importante e complessa per essere ridotta a questo. Così come
è certamente vero che le lungaggini processuali abbiano svariate cause e che
solo un approccio organico può consentire di rimuoverle nel lungo periodo. E
tuttavia non è necessaria la temerarietà per sostenere che, essendo ugualmente
indispensabili tante altre iniziative, questa considerazione non basti per
impedire da subito una riforma sostanziale della prescrizione.
Certo
che è indispensabile molto altro: interventi sul sistema delle impugnazioni,
sui gradi di giudizio, sulle regole processuali relative alla gestione dei
processi, sul sistema sanzionatorio, sul numero delle fattispecie penali, ma
tutto ciò non solo non esclude ma anzi esige che si parli anche del tema tabù,
la prescrizione.
Il
dibattito sulla prescrizione è sempre stato legato alla variabilità delle
esigenze politiche contingenti, e a una diffidenza di fondo – va detto – nei
confronti del sistema giustizia. Si accorciano i termini di prescrizione (magari
per avvantaggiare qualcuno: epoca Berlusconi) oppure si allungano (quando si vogliono
contrastare forme odiose di criminalità: dal terrorismo alla mafia, alle
violenze sessuali).
Fiducia e sfiducia si alternano, senza considerare che in discussione non è solo il lavoro dei magistrati, ma quello di tutti gli operatori, e in fondo della stessa qualità delle norme da applicare. Però la prescrizione non può essere un elastico variamente estensibile secondo ragioni momentanee o estranee alla giustizia.
Fiducia e sfiducia si alternano, senza considerare che in discussione non è solo il lavoro dei magistrati, ma quello di tutti gli operatori, e in fondo della stessa qualità delle norme da applicare. Però la prescrizione non può essere un elastico variamente estensibile secondo ragioni momentanee o estranee alla giustizia.
Fuori
da queste logiche, un approccio di sistema dovrebbe partire da una domanda di
base: a cosa si può collegare, in un stato di diritto, il traguardo della ragionevole
durata del processo? Ora, soprattutto in un paese che ha adottato il processo
accusatorio (le prove decisive raccolte davanti ad un giudice terzo ed
imparziale, nel contraddittorio tra le parti, secondo il metodo dell’oralità e
concentrazione), il diritto del cittadino ad essere giudicato in tempi rapidi deve
essere ancorato al fatto che sia pronunciato il “giudizio” che lo riguardi. Che
vi sia una pronuncia di un giudice su un determinato reato e sulla
responsabilità di qualcuno.
A
questo obiettivo, è collegata anche la pretesa della collettività ad avere in
tempi certi e rapidi giustizia sui fatti che hanno messo in pericolo la
convivenza civile e che la rendono gravemente insicura. Non è un caso che in America, la
sentenza emessa dai giudici sia di norma definitiva: quando è pronunciata è lì
pronto lo sceriffo a portare in galera il condannato o a liberare il cittadino
assolto. Le impugnazioni sono rare ed eccezionali.
La fiducia nella decisione “giusta” del
giudice
Il
discorso sulla prescrizione ruota intorno a questa considerazione: il diritto
del cittadino ad avere giustizia dallo Stato ha per oggetto che vi sia una
decisione sul caso che lo riguarda, non anche che vi siano tutte le altre decisioni
che potrebbe pretendere – con le impugnazioni – qualora la prima non sia per
lui soddisfacente. Per il semplice motivo che, quanto alla tempistica, si ha
diritto ad una decisione, non a tutte quelle che, per ragioni di garanzia, il
sistema rende azionabili quando la prima non sia “accettabile” (dalla parte). E
ciò proprio perché il presupposto dell’impugnazione è la non condivisione di
una decisione, non il fatto che non sia (oggettivamente) corretta.
Mille
volte si è messo in evidenza come la prescrizione infinita, senza un termine,
sia fonte di distorsioni: anche quando si ha torto conviene sempre impugnare le
sentenze nella speranza che il tempo porti qualche beneficio, che sopravvenga
un provvidenziale mutamento, che gli ingranaggi della giustizia si inceppino,
che alla fine intervenga la prescrizione. Tuttavia non sono soltanto gli
inconvenienti di una prescrizione senza fine a consigliarne la riforma se
avesse senso mantenerla come è oggi.
Sempre
per ragioni di sistema, una volta strutturato il processo con il massimo grado
di garantismo, compiuto lo sforzo di rendere la formazione dei magistrati la
più qualificata possibile e raggiunto l’obiettivo analogo per tutte le altre
categorie interessate (gli avvocati, il personale amministrativo), dovremmo
essere audaci, sino a dire: si presume che la decisione del giudice (di primo
grado) sia giusta, la più corretta possibile nell’applicazione del diritto al
caso concreto.
Per
questo, le impugnazioni dovrebbero essere organizzate in modo da escluderne
l’uso strumentale: per esempio esponendole sempre al rischio di una riforma in
peggio, o del pagamento di una penalità in caso di azioni temerarie. E
soprattutto liberandole dalla peggiore delle deformazioni, che per tutti
(colpevoli ed innocenti, cittadini e Stato) è in contrasto con il senso di
giustizia, quella di affidare la parola conclusiva, nell’accertamento dei reati
e delle responsabilità individuali, al tocco magico del tempo: il colpo di
spugna che annulla le colpe, e sottrae giustizia a tutti.
* Leggi anche La Voce di New York:
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