di Laura Maria Di Forti
(Introduzione di Angelo Perrone)
(ap) Qual è il legame tra Guido, pittore anni Venti, e Flora, avvenente e capricciosa modella? La seduzione esercita una strana e irresistibile tirannia sull’uomo.
Quando si presenta la dolcezza di una timida ragazza, Adele, il mondo di Guido entra in crisi, sembra crollare come castello di sabbia davanti al sogno di un altro amore.
Guido, al bivio, dovrà scegliere tra immaginazione e realtà, delirio di un futuro sconosciuto e concretezza del vissuto. Il racconto di Laura Maria Di Forti esplora, nell’atmosfera decadente di inizio ‘900, sentimenti, desideri, illusioni.
Ecco il primo capitolo “Modella e musa” - Un cascinale dell’Oltrepò pavese ospita giovani artisti con il loro mecenate, un pittore benestante, famoso per i suoi acquerelli. L’arrivo di una macchina guidata da una donna porta scompiglio
Flora lo teneva in pugno, lo dominava come si domina uno schiavo, lo governava come fosse un suo suddito e lo influenzava in qualsiasi momento, per ogni azione, in qualsivoglia occasione, avendolo addomesticato con la voluttà del desiderio.
Aveva due occhi neri che sembravano velluto, i capelli corvini tagliati alla guisa moderna, corti e con una folta frangia e, in casa, usava mostrarsi quasi sempre con calzoni corti che lei stessa cuciva e camiciole di seta molto scollate, perché amava sentirsi sensuale e conturbante.
La moda dettava un’immagine di donna moderna, sofisticata ma dinamica, gonne al ginocchio e lunghe collane luccicanti e pettinature corte adornate da nastri attorno alla fronte e lunghe piume. Flora era molto vanitosa e poteva permettersi qualsiasi abito, avendo il corpo snello e sinuoso e gambe lunghe e bellissime che avevano fatto impazzire molti uomini.
Per quale ragione Flora si fosse innamorata di lui, Guido ancora se lo chiedeva. In fondo sapeva bene di non essere un dongiovanni, uno di quei giovanotti per i quali le donne farebbero pazzie. Forse si era innamorata della sua arte, del fatto di essere la sua modella e musa e di venire immortalata in quasi tutti i quadri che dipingeva e che riusciva a vendere con profitto ai vari galleristi milanesi.
Guido era un giovane pittore molto promettente, si stava facendo un nome e si cominciava a parlare con interesse di lui negli ambienti artistici ma, forse, oltre che per questo alone di artista dotato, era a causa della sua ricchezza sfrontata che Flora gli si era attaccata come un parassita e, certamente, non intendeva lasciarselo scappare.
Per amore o per denaro, chissà, la giovane modella viveva con Guido ormai da sei anni, lunghi e belli, anni in cui non aveva dovuto pensare ad altro se non a mantenere intatta la propria bellezza. Conosceva molto bene la propria attrattiva sugli uomini e, in particolare, su Guido che si era lasciato intrappolare nella sua rete fatta di moine, allusioni, di sguardi e carezze, ma anche di dinieghi, di bronci e di freddezza, cose che lasciavano il povero uomo in uno stato catatonico di depressione e infelicità.
Poi, con sapienza, Flora gli lanciava nuovamente segnali di cupidigia e, in un batter baleno, lo riprendeva tra le sue spire lasciandolo quasi moribondo. La sensualità che sprigionava come un profumo intenso, come un balsamo salvifico e al contempo come un pranzo abbondante e ricco di pietanze succulenti e piccanti, gli toglieva il respiro e, persino, la capacità di ragionare con avvedutezza.
Guido era ai suoi piedi, si lasciava governare da questa giovane tanto superba nella sua bellezza e tanto algida nei sentimenti, da permetterle di essere scostante, talvolta glaciale, di negarsi persino, perché sapeva che poi, alla fine di tutto, lei lo avrebbe ricondotto in paradiso, si sarebbe lasciata amare come e più di prima e, insieme, avrebbero raggiunto il massimo del piacere.
La casa in cui vivevano si trovava al centro di Milano, casa che lui aveva ereditato dai nonni, mentre la ricchezza gli veniva in massima parte dai terreni nella Bassa Padana vicino a Pavia che lo zio paterno gli aveva lasciato alla sua morte, avvenuta pochi anni prima, durante la Grande guerra. Guido si era trovato improvvisamente ricco ad appena venti anni e ora, dopo quasi dieci, viveva una vita agiata sovvenzionando alcuni artisti milanesi che vivevano in un cascinale di sua proprietà nell’Oltrepò Pavese.
Ad aprile del 1927, in un giorno di sole timido, ancora prigioniero di grosse nuvole bianche, Guido e Flora arrivarono alla Pergola, la cascina in cui il pittore ospitava gli amici artisti, per trascorrervi un periodo di riposo e di svago.
Il verde della campagna attorno e degli alberi frondosi, da poco rinati a nuova vita, e i vivaci colori delle fioriere attorno al casale e del glicine che si arrampicava sui muri del cascinale a ridosso del grande cortile, erano solo alcune delle attrattive di quel luogo.
L’edera rampicante aveva quasi del tutto invaso le pareti esterne della casa che si presentava pertanto ricoperta di verde e odorosa di gelsomini e piante di limoni interrati in grossi vasi intorno al portone di ingresso, da poco verniciato di rosso da Giosuè, un grande e grosso uomo di mezza età e dal cuore d’oro che si dedicava a tenere in ordine la casa mentre Maria, la moglie, provvedeva a cucinare per tutti gli ospiti.
Una siepe di salvia e mirto recintava il giardino attorno alla cascina separandola dal campo coltivato a granturco e spesso, durante l’estate, Giosuè vi piantava vicino grosse fiaccole che allontanavano gli insetti e donavano un’aria di vacanza e di festa.
L’arrivo di Guido fu salutato con entusiasmo dai giovani artisti che lì vivevano da due anni ormai, in particolare da Franco, uno scultore trentino che attendeva di sapere se qualche sua opera era stata venduta da Alcide Finamore, uno dei galleristi che compravano le tele di Guido.
“Non tenermi sulle spine, Guido, dimmi se la fortuna mi ha premiato, stavolta” disse il giovane tutto rosso per la tensione.
“Ebbene, mio caro, la fortuna ti ha baciato in bocca – gli rispose ridendo Guido, felice di essere arrivato alla Pergola, finalmente, e di venire accolto con tanto entusiasmo da parte degli amici e colleghi. – Tutte le quattro sculture che mi hai dato e che io ho portato a Finamore sono state acquistate da un collezionista di Roma, un ricco politico che pare sia molto amico del Duce.”
“Oh, Franco, hai l’avvenire assicurato! - esclamò Giacomo. – Vendere al potere costituito è sicuramente una carta vincente.”
“Non lo angustiare – lo interruppe Marco, aspirante poeta e scrittore di alcune novelle che erano state pubblicate su una famosa rivista – L’importante è vendere, amico mio.”
“Vendere a chi approfitta della dabbenaggine della gente per arricchirsi alle sue spalle e si arroga il diritto di fare e disfare calpestando la democrazia, non è vendere ma è tradire la propria arte” precisò Giacomo.
“Vi prego, amici miei, anzi vi scongiuro, ma non voglio discussioni e se, per farmi ascoltare, mi preferite prostrato ai vostri piedi, eccomi” - e, nel dire queste parole, Guido si inginocchiò con fare teatrale davanti agli amici. – Ma non si parla di politica qua dentro, questa è la regola e voi la conoscete bene.”
“Ci mancavi tanto, caro il nostro istrionico benefattore” disse Paola battendo forte le mani. La giovane donna portava una gonna lunga fino al polpaccio e un maglione di lana fatto a mano da lei. Era una poetessa di Padova arrivata alla Pergola solo da un anno e segretamente innamorata di Guido.
Flora storse la bocca. Quella insulsa ragazza dalla pelle piena di efelidi e dai capelli rossi ricci e il suo modo di vestire più adatto ad una anziana signora che non ad una giovane moderna, le davano la nausea. Per non parlare di quella sua aria di zitella innamorata, perennemente in estasi e sempre pronta a riempire di complimenti Guido e a dargli ragione in ogni occasione, anche la più stupida e insulsa.
Cielo, era terribilmente noiosa, era semplicemente seccante e sgradevole! In definitiva, Flora preferiva di gran lunga i giovanotti come Marco, bello come il sole, affascinante e impenitente sognatore, Franco, lo scultore con le spalle di uno sportivo e il viso di un artista maledetto, ma ancora di più la intrigava, la soggiogava e insieme la infastidiva Giacomo, musicista, uomo colto e raffinato ma anche impulsivo, sanguigno e, come lei, incapace di tacere. Brutto carattere, certo, ma vivo e sincero.
“Vi ho portato un regalo” disse Guido mettendo sul tavolo della grande sala una cassetta di legno da cui fece uscire un grammofono.
“George Gershwin, Duke Ellington, Louis Armstrong - elencò Giacomo leggendo i vari nomi sulle copertine dei dischi che Guido gli aveva consegnato come fossero dei trofei – Chi sono?”
“Musicisti americani, dei veri fenomeni. Questi dischi me li ha portati un amico direttamente dagli Stati Uniti. Musica da brivido, ragazzi! Flora ed io ne andiamo pazzi.”
E Flora, a quelle parole, cominciò a muovere i fianchi facendo dondolare l’orlo della gonna e le frange che vi pendevano. Paola la guardò disgustata.
Esibizionista, egocentrica e spudorata ragazza, pensò.
“Ci vizi, Guido, sei decisamente un mecenate molto generoso!” esclamò commosso Marco.
Guido tolse tutti d’impaccio annunciando di voler pranzare presto. Avrebbero trascorso il pomeriggio raccontandosi gli avvenimenti degli ultimi mesi con il sottofondo delle splendide musiche e, dopo cena, avrebbero festeggiato con i dolci sfornati da Maria e con l’ottimo Porto comprato nel nord del Portogallo da alcuni vecchi amici del padre anni addietro e lasciato nel casale per le occasioni speciali. E, d’altronde, quale occasione migliore avrebbe potuto trovare Guido per bere quell’ottimo vino invecchiato?
Ritornare nella casa delle vacanze infantili lo faceva sempre sentire bene e la compagnia degli amici lo rendeva soddisfatto della vita artistica che aveva potuto intraprendere grazie al patrimonio familiare. Fare l’avvocato come era tradizione nella sua famiglia e come avrebbero desiderato i genitori, certo non poteva rappresentare per lui il lavoro ideale ma, grazie all’eredità del ricchissimo zio, poteva dedicarsi ad una vita artistica oltremodo tranquilla e senza pensieri. E poi Luca era un uomo generoso e aiutare gli amici artisti che non avevano la sua stessa tranquillità economica, lo faceva stare bene e lo incitava a proseguire nella sua “perdizione” per l’arte.
Fu l’indomani pomeriggio, durante la lettura di una delle ultime poesie di Marco, lette splendidamente da lui con tono sinceramente commosso, che entrò nella sala Giosuè per annunciare l’arrivo di una ragazza giunta alla Pergola, specificò, alla guida di un’automobile. Flora si alzò subito dalla poltrona in cui era comodamente sprofondata e andò alla finestra con l’intento di verificare la veridicità di quella insensatezza.
Pur essendo una giovane moderna, certo non si era mai sognata di guidare un’auto anche se, probabilmente, non c’era nulla di male in questo. Ma persino ad una donna all’avanguardia come lei non era venuta in mente una cosa del genere, mai. Guidare un’auto era una novità persino per un uomo, figurarsi per una donna!
Entrò una ragazza di circa ventidue anni, bionda, occhi azzurri, vestita con un abito verde di seta e un cappellino delizioso calcato sulla testa, i mezzi guanti a ricoprire le mani. Flora la giudicò insulsa, Guido la trovò bellissima.
Nessun commento:
Posta un commento