di Laura Maria Di Forti
(Introduzione di Angelo Perrone)
(ap) Qual è il legame tra Guido, pittore anni Venti, e Flora, avvenente e capricciosa modella? Il mondo di Guido entra in crisi davanti al sogno di un altro amore, Adele. Dovrà scegliere tra immaginazione e realtà. Il racconto di Laura Maria Di Forti esplora, nell’atmosfera decadente di inizio ‘900, sentimenti, desideri, illusioni.
Dopo i capitoli “Modella e musa”, “L’agilità di un felino”, “Una tana provvidenziale”, ecco il quarto, “La prova inconfutabile” - Trascorsi giorni di pacifica convivenza, l’atmosfera nel cascinale si fa rovente: discussioni, litigi, attriti. Qualcosa preannuncia l’irreparabile
Il tempo ritornato oramai sereno, un calore primaverile vagheggiava tutt’intorno e Paola aveva ripreso dall’armadio un golfino celeste di lana leggera di cui si sentiva fiera ma che poco le donava in viso. I maglioni pesanti, ormai, non sarebbero stati più necessari, la primavera esigeva un altro abbigliamento con quel sole che puntualmente, ora, si presentava a scaldare e a rinvigorire la natura. La sera prima Paola aveva visto Adele salire in auto con Guido e la cosa l’aveva molto turbata.
Flora era già un ostacolo pesante, ma che intervenisse un’altra donna a frapporsi tra lei e Guido, questo fatto era una tragedia. Ora, guardandosi allo specchio e giudicandosi non all’altezza di Flora e neanche della nuova arrivata, decise di vendicarsi e, con sé stessa, di vendicare tutte le ragazze poco belle, solo carine o addirittura bruttine che popolavano la terra, a dispetto di quelle conturbanti, affascinanti, sensuali o anche angeliche e raffinate che si erano intrufolate alla Pergola negli ultimi tempi.
Scese in cucina, dove Flora stava finendo di bere il tazzone di caffè bollente, e le chiese a bruciapelo:
“Tu sai dove è andato ieri pomeriggio Guido?”
Flora la guardò come si guarda uno scarafaggio. Quel golfino celeste era orrendo di per sé, ma sul corpo scheletrico e senza attrattive di Paola risultava ancora più indecente.
“In paese a prendermi delle sigarette” rispose di malavoglia, non comprendendo il motivo reale della domanda.
Paola si mise allora a camminare per la cucina contando i passi, cosa che infastidì enormemente Flora. Poi, improvvisamente, le si avvicinò sussurrandole all’orecchio:
“Forse non sai che ci è andato con la dolce e angelica Adele”.
Al che Flora scattò come una molla.
“Adele? Perfida acqua cheta” disse a bassa, bassissima voce.
“Hai detto qualcosa, cara?” chiese Paola, felice di averle rovinato la giornata.
Ora tutto sarebbe stato nelle abili mani di Flora, sicuramente più capace di lei di elaborare un piano per togliere di mezzo quella arrogante ragazza arrivata dal nulla a destabilizzare le loro vite. Sì, aveva fatto proprio bene a spifferare tutto a quella donna sicura di sé, di ciò che vuole, capace di difendersi, di pretendere ciò che le spetta, di compiere qualsiasi azione, anche la più meschina. Come era quel proverbio? Il nemico del mio nemico, convien che sia mio amico. Parole sante.
Flora andò subito a cercare Guido, e lo trovò ancora in pigiama, sonnacchioso, forse un poco febbricitante.
“Fannullone” lo apostrofò vedendolo a letto.
“Credo di avere la febbre. Sto male, Flora”.
“Forse ieri hai preso freddo, la passeggiata in paese ti ha fatto male! O forse è la vicinanza di Adele, arrivata qui da noi dopo un inverno passato a tossire, non credi?”
Guido si sentì ancora più debole. La presenza di Flora, la Flora arrabbiata, scontrosa, velenosa come una vipera, non era la terapia giusta per guarire. Avrebbe preferito una carezza di Adele, questa era la verità.
A mezzogiorno e mezzo Maria gli portò in camera un brodo di pollo e un uovo alla coque, pranzo che Guido avidamente mangiò. Nel tardo pomeriggio si alzò dal letto e guardò fuori dalla finestra. Nei campi alcuni contadini controllavano la crescita delle pannocchie. A sera, forse, sarebbe venuto il fattore a mostrargli alcuni conti e a parlargli della festa che avrebbero fatto per il raccolto ai primi di settembre. Guido si era sempre fatto carico delle spese e la festa era ormai una tradizione che doveva perpetrarsi al di là di ogni suo malessere, dolore, di ogni cruccio o tormento.
La siepe di salvia e mirto, che separava il bel giardino fiorito dai campi coltivati, era colpita dal sole e, pensò Guido, sembrava un intrico contorto e fitto, un argine compatto che separava la loro combriccola dal resto del mondo. Al di qua della siepe c’erano lui e i suoi amici con i loro discorsi sull’arte, la politica talvolta, le dissertazioni sulla vita, la morte e il lento declino dei valori, mentre al di là, invece, c’era tutto un mondo operoso fatto di gente che si alzava all’alba, lavorava sodo e non aveva il tempo di porsi certe domande, forse stupide, chissà.
Quella siepe era assurta a confine di due mondi, uno dei quali sembrava intrappolarlo divorando la sua sete di arte e bellezza, tutto il suo mondo fatto di discussioni filosofiche, di deliri artistici e di sogni giovanili. Ma l’altro mondo, quello vero, reale, concreto, il mondo fatto di contadini che faticano e non si perdono in chiacchiere, era forse migliore proprio perché più sincero. I sogni sono belli, certo, i sogni illudono, affascinano, i sogni rapiscono e alimentano la speranza, ma la realtà esige concretezza.
Guido scese in salone nel primo pomeriggio e vide Marco conversare amabilmente con Adele. I loro corpi erano talmente vicini che da lontano sembrava si stessero baciando. Il suo cuore fece un tuffo all’indietro. Doppio salto mortale e senza rete.
Tornò a letto e solo verso sera, dopo aver cenato in camera sua con una tazza di latte e qualche fetta di pane e marmellata, scese in salone dove tutti erano intenti ad ascoltare una poesia di Paola, una delle solite melense che parlavano di amori tragici e di illusioni perse nelle nebbie della Val Padana. Poi, Marco lesse l’inizio di una sua nuova opera, una commedia in tre atti ambientata a Padova, città in cui era nato e che amava tanto.
“Una commedia? – chiese Franco – Credevo fossi un poeta, non uno di quegli autori di commedie degli equivoci che tanto vanno di moda.”
“Non è una farsa, è una commedia seria invece, un’opera che fa riflettere, che vuole aprire le menti della gente e cercare delle alternative.”
“Alternative a cosa?” riprese incalzante Franco.
“Al corso sempre uguale, noioso e riduttivo delle cose, delle nostre abitudini, di quelle certezze che a noi sembrano granitiche ma che poi si rivelano castelli di sabbia.”
Adele lo guardò con tenerezza e ammirazione. Di rimando, lui le sorrise teneramente.
“Un’opera alla Pirandello, insomma” fece Franco. Era di malumore. Poche ore prima aveva ricevuto il rifiuto di un commerciante d’arte di Pavia, un certo Gabriele Santoni, che aveva giudicato “indecenti” le sculture dei due ballerini di tango.
“La gente non vuole riflettere, mio caro – continuò Franco - La gente vuole il vecchio e giudica il nuovo qualcosa di cui diffidare. E poi, mi domando, perché scrivere una commedia e affidarla a quattro attori che devono interpretare le parole dell’autore, dar corpo alle sue passioni per poi consegnarle agli spettatori che a loro volta devono recepire la farsa, perché proprio di una farsa si tratta in definitiva, non credete?”
“È un delirio, questo tuo sproloquio?” intervenne Giacomo preoccupato per quell’arringa debordante.
“Non è uno sproloquio, sto solo interrogandomi.”
“E invece io credo che il lavoro dell’attore sia incredibile – disse Marco – Se lo scrittore ha le parole per comunicare la propria arte, il pittore ha i pennelli e lo scultore ha il marmo o la creta così come il musicista ha i suoi strumenti, ebbene l’attore può fare affidamento addirittura al suo stesso corpo, le mani, la voce, lo sguardo, tutto è uno strumento.”
“Strumento di cosa? – riprese Franco, più agguerrito e nervoso che mai - Non di se stesso, no certo, ma di altri. Strumento delle sensazioni e delle passioni di un autore, il che ci riporta alla domanda iniziale e cioè: che bisogno ha l’autore di affidare ad altri, gli attori appunto, ciò che potrebbe invece dare direttamente al pubblico attraverso la sua scrittura? Si servono di intermediari gli scultori e i pittori?”
“Noi musicisti lo facciamo – intervenne Giacomo candidamente – Facciamo suonare le nostre composizioni agli orchestrali.”
Guido era stanco, si sentì innervosito da quei discorsi sterili, elucubrazioni stupide di artisti annoiati. Una sola cosa, ora, lo tormentava. Quale sentimento provava Adele per Marco? Non era tanto cieco da ignorare gli sguardi teneri che i due si scambiavano di continuo e i risolini infantili, no, certo!
Ritornò stancamente a letto senza salutare i compagni che, d’altronde, impegnati com’erano nella loro futile disputa, nemmeno si accorsero del suo stato di salute fisica e anche psicologica.
L’indomani mattina Guido si svegliò mentre Flora lo guardava insistentemente.
“Ti sei svegliato finalmente. Stanotte hai persino russato, cosa che detesto, ti avviso. E poi non ho neanche voglia di te. Mi sembri un vecchio buttato sul letto. Credevo fossimo in vacanza, e invece devo sopportare i tuoi amici artisti che litigano fra loro e anche te, che di tanto in tanto sparisci e che adesso te ne stai a poltrire a letto. Sarebbe bello, invece, andare a fare una scampagnata approfittando di queste meravigliose giornate di sole! Ne ho veramente bisogno.”
Guido la guardò con occhi nuovi. Flora era bella, così spettinata e con un pigiama corto, aderente, di seta bianca e pizzo color avorio. Bella e sensuale, la bocca imbronciata da bambina capricciosa, cosa che a lui era piaciuta sin dal primo istante. Viziarla, sì, lo aveva sempre fatto, d’altronde. Ma perché allora in quel momento non la trovava più tanto irresistibile? Perché?
“Mi sento molto meglio, oggi. Credo che potremo fare una passeggiata in bicicletta” le disse sorridendo.
“O magari possiamo andare in auto fino al paese, dove potrò comprare un paio di maglioncini leggeri e dei pantaloni comodi per stare qui in campagna, e magari anche qualcosa di più intimo, se mi capisci – disse Flora con un gran sorriso complice – E poi, stasera, ti farò vedere come toglierli, certi indumenti.”
Guido sorrise ma, chissà perché, il suggerimento di Flora non lo eccitava\.
La sera, dopo cena, Giacomo tirò fuori una bottiglia di grappa che aveva comprato in paese e che proveniva dal Trentino, una grappa, assicurò, degna di essere bevuta con devozione.
“Festeggiate con me – disse agli amici, subito pronti a fare baldoria – Festeggiate la fine di un lungo lavoro, un’opera musicale che, spero, tra poco suoneranno tutte le migliori orchestre e di cui io sono l’autore, signori miei” e si inchinò con fare melodrammatico.
“Istrione!” gridò Franco ridendo.
“Istrione e completamente privo di umiltà!” esclamò Marco divertito battendo le mani.
“E allora beviamo questo nettare per dimenticare tutte le nostre paure, gli amori infelici e le donne, eccetto le presenti, beninteso, che ci fanno soffrire e non meritano le nostre pene. A noi” disse Giacomo.
“A noi” risposero gli altri e tutti, alzato il bicchiere, bevvero con piacere.
Dopo poco tempo, Guido notò con fastidio la nuova intimità sorta tra Adele e Marco. I due sorridevano, si confidavano parlando sottovoce, avvicinandosi tra loro e isolandosi da tutti gli altri. Ad un certo punto Guido vide Marco prendere la mano di Adele che, a quel tocco, trasalì senza ritrarsi però, anzi, lasciandolo fare e sorridendo a testa bassa. Quella era la prova inconfutabile che qualcosa stava nascendo tra i due o, anzi, era già nato. L’alcool ingurgitato più per disperazione che per puro piacere e la febbre che aveva ripreso a tormentarlo, lo misero in uno stato di agitazione pressante. Si sentiva spossato e oltremodo agitato, senza forze ma con la necessità impellente di fare qualcosa, di impedire quell’amore insulso che lo privava della speranza di felicità perché, e questo a lui sembrava ormai chiaro, Adele era l’unica speranza di disintossicarsi da Flora, dal suo amore malato fatto solo di capricci e di una pratica amorosa che nulla aveva a che fare con l’amore vero.
Flora era un veleno, pensò, che lui stava assumendo giorno per giorno, mentre Adele era la purezza che finalmente gli veniva mostrata per cambiare vita ed essere felice. Ma ora perché lei gli voltava le spalle per rivolgere lo sguardo verso Marco? Ah, la poesia, certo! Il potere sapiente delle parole! Uno scrittore è forse più affascinante di un pittore? L’arte, c’entrava qualcosa in questo triangolo amoroso? Non avrebbe mai pensato di poter odiare tanto un uomo, uno che fino a poco prima lui aveva considerato suo amico. Ma il potere dell’amore è più forte dell’amicizia e il desiderio di quella donna, la consapevolezza che lei, e lei sola, potesse ridargli la spensieratezza, liberarlo dalle catene di Flora e renderlo migliore come uomo e come artista, certo, ecco, tutto questo lo rendeva folle, lo faceva delirare. O era la febbre? Vide Marco spostarsi sul divano e accostarsi sempre di più verso Adele protendendo pericolosamente la bocca verso quella della ragazza, troppo vicino, troppo incauto, troppo spudoratamente sicuro che lei non lo avrebbe schiaffeggiato rifiutando quel contatto che si sarebbe prodotto di lì a breve, brevissimo tempo. Allora, fuori di sé dalla rabbia, dalla delusione, contro ogni ragionevole norma di sano comportamento, al di là del suo dovere di ospite e ignorando che niente si deve ottenere con la forza e che, forse, a mente lucida, senza i fumi dell’alcool ad annientare le sue facoltà mentali e morali, sarebbe rimasto fermo, pazientemente in attesa di ciò che avrebbe dovuto prodursi, Guido si protese verso Marco per sferrargli un pugno ma, nel farlo, cadde a terra privo di sensi.
Ci fu una totale confusione. Paola gridò, Adele si spaventò vedendo Guido cadere addosso a Marco che, improvvisamente, si ritrovò il corpo dell’amico sopra il suo e allora cercò di alzarsi mentre Flora e Franco accorrevano per soccorrere Guido. Giacomo corse a prendere dell’acqua che, in parte, spruzzò sopra il volto del pittore che, prontamente, si riprese.
“Cosa ti è successo?” gli chiese subito Flora, impaziente di conoscere i dettagli. Aveva un certo presentimento, maturava la sensazione che qualcosa di importante e di tragico stesse covando nell’animo di Guido.
“Non vedi che ha la febbre alta? La sua fronte scotta!” urlò Giacomo.
“Mettiamolo a letto” suggerì Franco.
Adele era atterrita. Le era sembrato di vedere Guido andare addosso a Marco volontariamente, con la mano destra chiusa a pugno e con fare minaccioso. Ma i ricordi, in quel momento, erano confusi e lei era troppo scossa per ragionare. Per quale ragione, poi, Guido avrebbe voluto sferrare un pugno a Marco? Ebbe quasi l’impressione che lei, in qualche modo, fosse il motivo di quanto successo. Da qualche giorno aveva notato un drastico cambiamento di atmosfera in casa, un aumento costante, anche se impercettibile, di tensione, come quando si vedono i cani agitarsi e si nota qualcosa nell’aria, qualcosa di strano e di inconsueto, un’elettricità minacciosa, insomma, ma non si vede nulla, non si nota niente di diverso. Eppure, poco dopo, il cielo diventa buio e un improvviso temporale, non previsto, non sospettato, forse solo intuito, scroscia subitaneo, liberando finalmente ogni cosa da quel manto di attesa.
Guido fu portato a letto e Flora rimase presto sola con lui.
“Vedo che ti stai riprendendo – gli disse quando lui ebbe riaperto gli occhi.
“Credo di essere svenuto.”
“Oh, sì, questo è vero. Ma, prima, cosa volevi fare? – gli chiese senza considerare che stava male, che aveva la febbre alta e, forse, stava delirando - Ti ho visto correre verso quei due che si stavano baciando. Sì, li tenevo d’occhio anch’io, sai, come te.”
“Cosa vai blaterando?” si difese Guido.
Stava male e una discussione in quel momento non poteva sopportarla. L’avrebbe lasciata parlare, non avrebbe risposto più alle sue domande e avrebbe chiuso gli occhi per dormire non essendo in grado di fare o dire nulla, ormai, tantomeno di pensare. Voleva solo un poco di pace e, poi, nemmeno lui capiva quello che era successo.
Un sonno ristoratore, ecco, ci voleva un sonno ristoratore.
Flora si alzò dal letto. Doveva pensare e cercare di capire. Il suo istinto felino le diceva di stare attenta, di vigilare. Guido era cambiato. Non era più il goffo innamorato pazzo di lei, l’uomo steso ai suoi piedi e pronto a soddisfare ogni suo desiderio, l’innamorato dipendente dai suoi capricci, dai suoi giochetti e vittima della sua tirannia. Una tirannia fatta di baci e di godimento, però, una tirannia dolce, in fondo, facile da sopportare! Ma qualcosa era cambiato. L’aria che si respirava ora era pregna di forti sensazioni, di passioni segrete e di sentimenti contrastanti. Lei lo intuiva, lei era donna di forti passioni e, quando erano in ballo tutte queste emozioni, avvertiva una strana atmosfera aleggiare nell’aria. I felini avvertono anche il tremolio della foglia prima che essa cada dall’albero.
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