di Laura Maria Di Forti
(Introduzione di Angelo Perrone)
(ap) Qual è il legame tra Guido, pittore anni Venti, e Flora, avvenente e capricciosa modella? Il mondo di Guido entra in crisi davanti al sogno di un altro amore, Adele. Dovrà scegliere tra immaginazione e realtà.
Il racconto di Laura Maria Di Forti esplora, nell’atmosfera decadente di inizio ‘900, sentimenti, desideri, illusioni.
Dopo i capitoli “Modella e musa”, “L’agilità di un felino”, “La tana provvidenziale”, “La prova inconfutabile”, ecco il quinto e ultimo “Ti ho in pugno” - In amore possono emergere posizioni di forza, si creano relazioni di potere. Il ruolo della pazienza e della sincerità in vista dell’equilibrio che tenga in vita
Due giorni dopo, la febbre era totalmente passata e Guido poté recarsi in salone a fare colazione. Si sentiva ancora affaticato ma era sicuro che, con una buona tazza di caffellatte, qualche fetta di pane con burro e marmellata e un poco di aria fresca, avrebbe ritrovato le forze.
Mangiò pertanto con appetito e, mentendo spudoratamente, chiese scusa a Marco per averlo investito durante la sua caduta improvvisa dovuta allo svenimento. La cosa finì naturalmente in un batter baleno e ognuno di loro, dopo essersi più volte domandato in quei giorni che cosa ci facesse Guido con il pugno alzato contro Marco, ora, convincendosi che fosse stato tutto un malinteso, si ritenne pertanto soddisfatto.
La mattinata trascorse piacevolmente. Paola e Marco fecero un giro dei campi in bicicletta, Adele e Giacomo andarono a passeggiare e Flora e Franco rimasero in giardino a chiacchierare. Guido, come al solito, sparì.
Fu verso mezzogiorno che Flora, esasperata di non vederlo dall’ora di colazione, decise di capire dove fosse scomparso Guido. Si alzò dal divanetto del giardino dove aveva pigramente fumato una sigaretta con il lungo bocchino e lo cercò in salone senza successo. Forse si era sentito male, pensò, o magari era solo stanco, e allora salì a cercarlo in camera ma anche lì non lo trovò.
Le venne in mente che l’anno precedente Guido, in un momento di debolezza, quasi in preda al delirio per la passione che provava per lei, le aveva confidato l’esistenza di una stanza segreta su nel solaio, una stanzetta che lui, molto giovane ancora, aveva arredato e trasformato in atelier dove rifugiarsi per dipingere. La cosa, all’epoca, le era sembrata una confidenza di poca importanza ma ora, alla luce di quelle continue assenze, giudicò che poteva rivelarsi molto utile.
Salì le scale che davano al solaio, scale che nessuno si sognava di usare mai, e aprì l’ultima porta a destra. Dentro, intento a dipingere, c’era Guido.
“È qui che ti rintani, allora! – esclamò Flora sulla soglia della stanza – La vecchia, antica stanza segreta della tua giovinezza!”
Guido si voltò di scatto. Flora entrò nella stanza e guardò il quadro.
Una donna, dipinta di spalle ma il viso voltato di profilo, era circondata da un tripudio di rose e giacinti, di lantane, di edere rampicanti e di portulache di ogni colore e, sullo sfondo, da un rivolo d’acqua con dei salici sulla riva. A fianco alla donna, che era vestita con un abito leggero di seta verde e un cappellino calcato in testa, era dipinta un’altalena.
Flora rimase senza fiato. L’altalena era un regalo che lui le aveva promesso da tempo ma la donna dipinta non era lei, la musa di ogni quadro, di ogni scarabocchio, schizzo, di ogni disegno. No, non era lei, la sola e unica musa capace di donargli estro e fantasia, di ispirare la sua arte, accendere la passione da trasferire sulle tele e sporcarle di rosso e di blu, di verde e di giallo, di ogni colore possibile. Lei, Flora, non era raffigurata su quella tela dipinta di nascosto senza occhi indiscreti a guardare, ammirare, magari anche criticare. La donna col cappello aveva i capelli biondi e il profilo di Adele.
Flora lanciò un urlo, un piccione volò via dal tetto sbattendo energicamente le ali, Guido chiuse gli occhi cosciente di essere stato scoperto. Nessun segreto più, ormai, a difenderlo dalla verità, nessuna possibilità di amare riamato o anche solo di amare e basta, il pensiero solitario di un uomo consapevole di non avere probabilità di successo.
Flora gli si parò davanti inferocita, buttò per terra i pennelli e avrebbe scaraventato in aria il cavalletto, fatto a pezzi la tela imbrattandola e calpestandola pur di eliminare quell’amore che lei aveva presentito, fiutato, aveva immaginato, sospettato, forse solo indovinato. Guido però le afferrò le braccia impedendole di distruggere quello che per lui era l’unico modo di amare una donna che non avrebbe mai potuto avere perché Adele, questo lo sapeva bene, non lo avrebbe mai guardato come le aveva visto fare nei confronti di Marco.
I suoi occhi azzurri non si erano accesi per lui ma erano diventati luminosi come diamanti, brillanti come il più costoso cristallo di Boemia guardando Marco, e gli avevano riso come quando si scopre, per la prima volta, l’amore. La rivelazione del dipinto lo aveva reso nudo scoprendo il segreto del suo cuore, quel desiderio inconfessato che poche sere prima stava per essere palesato a tutti e che solo la febbre aveva evitato concedendogli l’alibi dello svenimento.
Ma Flora aveva varcato la soglia di quello studiolo che rappresentava l’alcova segreta della sua anima, la fanciullezza del suo cuore tornato indietro nel tempo, giovane anima pura ancora alla scoperta dell’amore, e lo aveva guardato scandalizzata, rabbiosa di gelosia e risentimento, e niente più aveva senso, ormai. Il suo cuore, lo sapeva bene, avrebbe smesso di fremere anche solo al ricordo di quei capelli biondi e di un vestitino verde di seta che si muoveva al respiro del vento. Ora, sarebbe rimasto solo il ricordo della rabbia furente di Flora e della sua delusione.
Guido guardò Flora negli occhi neri, divenuti due tizzoni ardenti, e vi lesse solo disprezzo. Ma il disprezzo avrebbe dovuto essere il suo, piuttosto, quello provato per essere stato derubato, essere rimasto senza maschere dietro cui nascondersi, senza artifizi e senza difese. Nudo, esposto e pertanto vulnerabile. Il suo segreto era stato scoperto, la sua intimità violata.
Flora, atterrita nel vederlo così immobile, ferito e consapevolmente immolato al proprio dolore, non ebbe più il coraggio di infierire e, muta anch’ella, uscì dalla stanza, conscia di non essere più la donna amata e nemmeno la sola musa. La donna del ritratto l’aveva soppiantata in amore e come modella.
Poco dopo, Maria annunciò che il pranzo era pronto. Gli ospiti si sedettero tutti a tavola aspettando impazienti l’arrivo del padrone di casa e di Flora, ma nessuno di loro due scese in salone.
Guido rimase nel suo studiolo a guardare il dipinto, il primo senza Flora. Lo aveva dovuto dipingere, lo aveva fatto per purificare la sua anima e il suo cuore e, forse, gli pareva di stare meglio. Ora, quella ragazza vestita di verde e con il cappello calcato in testa sembrava esistere solo nel quadro. Non era reale, no, apparteneva al suo sogno, al suo immaginario, pensieri intrisi di magia e di sospiri e nient’altro. La realtà era diversa.
Guardò dalla finestra e vide alcuni bambini giocare nei campi al di là della siepe. Si rincorrevano e gridavano, ridevano e si divertivano ignari delle sue pene d’amore. Pensò che la felicità fosse al di là della siepe, fuori dalla sua casa, lontano da quel giardino odoroso di fiori.
No! Guardati dentro, si disse, guardati nel cuore con sincerità.
Quando, nel pomeriggio, entrò nella grande sala, Adele, seduta sul divano a guardare nel vuoto, lo guardò impaurita. Aveva intuito che qualcosa di strano e forse pericoloso si era prodotto nelle ultime ore, qualcosa di cui ritenersi responsabile, probabilmente. E perché mai? si domandò. Perché doveva per forza pensare di essere sempre lei la causa di ogni problema? Era forse stata colpa sua se il patrigno si era invaghito di lei?
Era fuggita da casa per quella che riteneva una colpa, era fuggita da un uomo che avrebbe dovuto farle da padre ma che provava invece dei sentimenti morbosi di cui lei si riteneva responsabile. Ma perché avrebbe dovuto essere colpa sua? E ora, in quello che sembrava un luogo di pace e di arte, un posto in cui l’amicizia e l’interesse verso ogni forma artistica dovevano rappresentare il comune sentire di ognuno di loro, ecco che qualcosa di malsano, di vile e forse peccaminoso stava minando l’armonia di quell’oasi che l’aveva accolta bisognosa di aiuto e protezione. Doveva fuggire ancora?
Ma lì c’era Marco, e da lui non voleva fuggire. Sarebbe rimasta ancora solo per lui, per vederlo, parlargli e stargli accanto durante il giorno e poterlo sognare la notte. Sarebbe rimasta solo per lui, per dargli la possibilità di amarla e di credere di aver trovato la felicità guardandola negli occhi. Marco era la purezza dell’amore e non c’era nulla di riprovevole in quel loro sentire, in quell’armonia che si creava quando si guardavano negli occhi!
Guido. Sì, lui si era forse infatuato di lei, l’aveva guardata con occhi tanto gentili, l’aveva creduta forse interessata laddove lei era solo riconoscente. Quel pugno, perché era un pugno, certo, voleva pur significare qualcosa! La gelosia, ecco. Di nuovo era tutta colpa sua? Doveva ritenersi responsabile anche per la sbandata di un uomo forse stanco di una donna tiranno?
Adele guardò Guido entrare nel salone. Sembrava invecchiato improvvisamente, ma forse era solo la conseguenza della febbre. Lei voleva restare, diamine, voleva restare per Marco, perché solo di lui le importava. Doveva restare per darsi una possibilità di essere felice, anche a dispetto di tutti gli altri. Ma Flora non glielo avrebbe permesso. L’avrebbe cacciata, l’avrebbe insultata, incolpata di ogni cosa, della sua rabbia e della sua infelicità.
Guido le sorrise, un sorriso mesto, che sa di rassegnazione ma anche di rinascita, chissà. Flora era in camera, forse stava piangendo o forse meditava la sua vendetta. Adele decise allora, contro ogni suo desiderio, che sarebbe partita. Quella non era più una vacanza, stava trasformandosi in un delirio, un tormento che non dava soddisfazione a nessuno.
“Io parto” disse a bassa voce, quasi impaurita di emettere suoni, frastornata da tutto quel silenzio inconsueto per quel luogo, un silenzio dolente e assordante.
Guido aveva voglia di piangere, trasformare in lacrime tutta la tensione accumulata da giorni, tutto il desiderio represso, ogni momento passato pensando a lei, ogni istante in cui sentiva crescere dentro di sé un amore quasi fanciullesco, tenero, incontaminato, così diverso dalla cupidigia che aveva incessantemente provato per Flora, la donna felino che lui aveva sempre desiderato con bramosia.
Adele era e sarebbe rimasta un sogno e l’unica cosa in cui sperare era che quel sogno, col tempo, sarebbe pian piano sfumato facendosi sempre più rarefatto, leggero, diventando sempre più evanescente e perdendo consistenza fino a sparire del tutto. Poi, sarebbe rimasto soltanto un sorriso a ricordare quel sogno e il segno di una ferita nel cuore, forse mai richiusa del tutto.
“Non è colpa tua - le disse – Certe cose avvengono e sono indipendenti dalla nostra volontà. Accadono inevitabilmente.”
Non c’era altro da dire. Ogni spiegazione sarebbe risultata superflua e fuori luogo, un insulto all’intelligenza di Adele.
Guido salì in camera. Flora era seduta sulla poltrona vicino al letto e stava piangendo. Appena lo vide entrare alzò il capo per poi coprirsi subito il viso con le mani e riprendere a piangere singhiozzando. Sembrava nuda in quel suo pianto dirotto, pareva che avesse l’anima esposta, il cuore aperto e dilaniato da quello che sembrava un tradimento di Guido e lo era in effetti, lo era veramente anche se era stato solo un tradimento sognato, vagheggiato con la mente, il desiderio di vivere un’altra vita, di essere un altro uomo, uno che ama la purezza di un sogno.
“Credevo di essere sicura del tuo amore, del tuo attaccamento. Credevo di averti in pugno, capisci, tra le mie mani. Finalmente avevo una cosa mia, io che mai nella vita ho posseduto qualcosa, ora grazie a te avevo tutto. Mi sentivo fiera, felice perché ero la tua modella, la tua amante, il tuo desiderio. Pensavo che non ti avrei mai perduto, che saresti rimasto innamorato di me sempre e che, sempre, mi avresti protetto, fatta sentire tua, forse un giorno persino sposata, chissà.”
Mai come in quel momento Flora era stata tanto sincera. Si rendeva conto di aver perso tutto, ogni cosa, si rendeva conto che nulla le apparteneva, che sarebbe tornata ad essere povera, una creatura misera alla ricerca di un poco di felicità. La sua bellezza, il suo corpo stupendo, il suo viso perfetto sarebbero presto divenuti preda del decadimento e cosa le sarebbe rimasto? Cosa?
“Mi hai fatto credere di essere al riparo – riprese – e mi sono illusa di poter vivere con te per tutta la mia vita. Sono stata ingenua, non credi? Io, che mi sono sempre creduta una ragazza scaltra, che ho avuto la presunzione di averti nella mia rete, io ho perso. E sai perché? Perché la mia bellezza non vale nulla di fronte all’amore. L’ho compreso oggi, l’amore è la cosa più importante. E io, che pensavo di poter vivere beffandomi dell’amore, dall’amore sono stata punita e per amore io soffrirò. Come potrò vivere senza di te? Perché è vero, sai, che io ti amo. L’ho capito soltanto adesso, ho capito che perdere te sarà come morire.”
Guido la guardò con tenerezza per la prima volta da quando la conosceva. Flora era l’incanto, la bellezza, Flora era tutto, non solo il desiderio, la cupidigia, no, Flora era la sua donna, ora anche indifesa, persino tenera. Non avrebbe potuto fare a meno di Flora, di questo ne era certo.
Adele era stata solo una parentesi, un tentativo di sottrarsi da una dipendenza forse divenuta ingombrante, troppo difficile da sopportare. Alcune cose dovevano cambiare, certo.
“Adele è stata solo un sogno. Sai, quando si dorme, si crede che il sogno sia realtà, che quello che la tua mente produce sia tutto vero, sia reale, concreto e che ciò che provi sia indelebile, che la felicità sia la felicità per antonomasia. Ma non è così.
Quando ti svegli, la realtà è un’altra e capisci, perché capisci, in definitiva, di esserti illuso, di aver creduto a delle ombre, di esserti ingannato credendo a dei fantasmi e che tutto è stato solo apparenza, immagini distorte della tua fantasia. La realtà è diversa, certo. Il sogno, se pur bello, meraviglioso, il sogno non è reale, non esiste, non ha corpo, il sogno.”
Flora si asciugò le lacrime con un fazzolettino di cotone che lei stessa aveva ricamato con le sue cifre. Aveva, da qualche mese, cominciato a mettere a frutto la sua abilità nel ricamo ricamando con le sue cifre le lenzuola e gli asciugamani di Guido, nel puerile tentativo di farsi un corredo e, marchiando quei capi, di darsi così l’illusione di possederli o, meglio, di averli sempre posseduti.
Guido sorrise. In fondo, scopriva solo ora la parte nascosta dell’anima di Flora, la sofferenza e la miseria patite e la speranza che la animava, la fiducia di un futuro migliore con lui. E forse era vero che lei fosse veramente innamorata di lui e che, alla fine di tutto, lei e solo lei fosse la persona adatta a lui.
Doveva abbandonare le chimere e ogni fantasia, i sogni e i miraggi, gli abbagli e tutte le illusioni che lo avevano confuso negli ultimi giorni e che non lo avrebbero fatto felice, mai. Guardare oltre la siepe, vedere la vita vera e non gli inganni della sua mente, del cuore, fantasticherie pericolose e utopie inesistenti perché lì, davanti a lui, c’era una donna che lo avrebbe seguito sempre e della quale lui conosceva ogni tratto, ogni singolo centimetro di pelle ma anche ogni palpito, ogni sbuffo, difetto, e pregi, risa, ogni fremito e ogni inganno. Sì.
Guido sorrise. Le prese le mani e le baciò. Sarebbe sorta una nuova tenerezza da tutta quella storia, sarebbe sorto un nuovo amore, la consapevolezza di non essere soli, di avere qualcuno, su questa terra, che in fondo tiene a te, da te dipende e cerca il tuo appoggio.
“Ora sono io a tenerti tra le mie mani – le disse dolcemente – Ti ho in pugno Flora, ti ho in pugno.”
Quando scesero in salone, verso sera, gli amici li attendevano sperando in un miracolo o nella fine di tutto. Li videro abbracciati, invece. Flora aveva il viso struccato e sembrava ancora più giovane e bella e Guido era come rinato. Franco dette una pacca sulla spalla dell’amico, Giacomo sorrise sornione e Paola si sedette rassegnata sulla poltrona vicino alla finestra.
Adele era già partita con la sua auto e Marco era andato via con lei.
La sera scese dolcemente, il tramonto si accese di fuoco per poi nascondersi nella notte blu con un cielo stellato a confermare che, l’indomani, un nuovo giorno sarebbe spuntato ad est mentre gli scenari vecchi e nuovi del quotidiano avrebbero ripreso vita con i loro amori, gli addii, i progetti e le delusioni di sempre.
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