di Laura Maria Di Forti
(Introduzione di Angelo Perrone)
(ap) Qual è il legame tra Guido, pittore anni Venti, e Flora, avvenente e capricciosa modella? Il mondo di Guido entra in crisi davanti al sogno di un altro amore, Adele. Dovrà scegliere tra immaginazione e realtà. Il racconto di Laura Maria Di Forti esplora, nell’atmosfera decadente di inizio ‘900, sentimenti, desideri, illusioni.
Dopo i capitoli “Modella e musa”, “L’agilità di un felino”, ecco il terzo, “Una tana provvidenziale” – Adele avverte il fascino misterioso della compagnia di artisti e sognatori che vive nel cascinale, un ambiente così diverso da quello al quale è abituata
Adele si svegliò una mattina con un cielo ancora scuro, ma presto capì che la causa del mancato chiarore non era l’ora presta ma un tempo minaccioso di pioggia con un sole ingabbiato da grosse nuvole nere. E infatti, appena ebbe finito di vestirsi, un violento temporale si abbatté bagnando i vetri delle finestre e poi, appena smessa la pioggia, un vento di tramontana liberò dal tavolo del giardino, su cui era adagiata, una tovaglia di cotonino leggero che si alzò in volo come un airone, dispiegando i lembi come fossero ali.
E dopo, mentre una luce ancora lunare riluceva mesta tra i campi, un odore di terra e di erba cominciò a impregnare l’aria salendo dalla campagna e dalle viti e donandole una piacevole sensazione di pienezza e di pace, come se tutta quella pioggia, scrosciata copiosa in pochi minuti, avesse mondato tutto il male e tutte le colpe e le angosce dell’umanità intera. O forse, pensò Adele, era lei che si sentiva meglio, ristorata appunto da quella pioggia scesa non solo ad abbeverare la terra ma anche a disperdere le sue pene.
Adele era quasi fuggita da casa e non era certo per guarire da una costipazione invernale che aveva deciso di partire. Il nuovo marito della madre, che mai lei aveva considerato un secondo padre, le aveva da tempo rivolto attenzioni troppo pressanti, da lei poco gradite in verità, e anche il regalo dell’auto, pur essendo stato apprezzato all’inizio, aveva finito per diventare una specie di ricatto morale. L’uomo faceva di tutto per rimanere solo con lei e, quando vi riusciva, la riempiva di complimenti e, una volta, le disse persino di non essere più innamorato della moglie ma di preferire il suo giovane corpo.
Adele, con la madre, aveva preso a pretesto il bisogno di ricaricarsi dopo i lunghi mesi di studio e le aveva annunciato di voler raggiungere un’amica, non prima di essere passata a trovare il cugino Giacomo. Ma, ora, quel casale le sembrava la cosa più meravigliosa del mondo, una tana provvidenziale e un rifugio segreto, e di raggiungere l’amica proprio non aveva intenzione.
D’altronde, preferiva di gran lunga la compagnia vivace e un poco fuori di testa di quella combriccola di artisti, poeti e pittori, scultori e musicisti, sognatori pronti a ridere per un nonnulla e a brigare o anche bighellonare a seconda dell’umore, sempre pronti a bere e a cantare. Strano, pensò, ma pur essendo stata educata all’ordine e alla disciplina e cresciuta nell’osservanza di una morale borghese conservatrice, amava molto quel disordine così pregno di fantasia e di estro, quella vita senza leggi e senza codici.
Si sentiva attratta come una calamita verso quel mondo così diverso da quello in cui aveva vissuto fino a quel momento, si sentiva leggera e quasi felice. Era già trascorsa una settimana dal suo arrivo e si chiese se le sarebbe stato permesso rimanere ancora e godere di quell’aria pura, i tramonti meravigliosi, il canto mattutino degli uccelli e i loro riti serali fatti di richiami e di convegni d’amore.
L’amore era ancora un evento a lei sconosciuto, ma il volto di Marco, così bello e insieme virile, gli occhi nocciola dolcissimi e la sua incantevole voce, l’avevano sin da subito colpita. Aveva paura di essersi fatta scoprire a guardarlo di sottecchi, però, perché due giorni prima suo cugino Giacomo le aveva sorriso e poi, sottovoce, le aveva detto “Ah, l’amore!”, al che lei era arrossita tutta ed era fuggita in giardino. Da quel pomeriggio non aveva fatto altro che pensare a Marco, alle sue poesie e al suono della sua voce. Un vero tormento, in definitiva, a cui lei non era avvezza.
Prima di scendere nel salone mise un maglione rosso di lana pesante perché l’aria s’era fatta più fresca e sentiva il desiderio di un bel caffellatte bollente. Gli altri avevano già fatto colazione e stavano discutendo su alcune nuove sculture di Franco, ritenute troppo astratte e poco aderenti alla realtà.
“Perché mai astratte? – chiese Franco scandalizzato - E Picasso, allora? Lui non copia un oggetto, lui lo reinventa. Aderire alla realtà ciecamente, copiarla senza prima averla immersa nella nostra anima, impregnata dei nostri sentimenti e delle nostre emozioni, per noi artisti non è creativo, ma è come fare una fotografia, ecco, una fotografia, sì. E allora, miei cari, facciamo delle belle fotografie e non perdiamo il nostro tempo a dipingere! Guido, ti prego, vienimi tu in aiuto. Sei un pittore e quindi hai il massimo diritto a parlare sull’argomento.”
“Fandonie! – esclamò Marco ridendo – Questi modernismi portati all’eccesso sono disgustosi, amico mio. Sarebbe come se io scrivessi delle parole a caso, come Marinetti, e non delle poesie con dei sentimenti reali, concreti, comprensibili a tutti. Parole buttate lì, con una certa logica magari, ma dove non traspare il sentimento, la dolcezza dell’amore, le pene dell’amore!”
“E allora torniamo indietro e scriviamo come i trovatori o dipingiamo come Leonardo e Raffaello - riprese Franco alquanto irritato - E la novità dove sarebbe? E poi, diciamocelo chiaramente, di Dante e di Leonardo da Vinci non ne vedo qui in giro e neanche di Michelangelo, beninteso”.
“Io credo che le sculture di Franco siano bellissime, invece – intervenne Flora - Le trovo crude, certo, ma anche sincere, nuove, e molto sensuali. La bocca della ballerina di tango, ad esempio, è così viva, carnosa, sembra quasi di poterla baciare, e anche il ballerino è provocante, davvero, e molto eccitante. Ecco, è … libidinoso”.
Giacomo sorrise. Certo, Flora non era proprio la persona giusta per fare una critica artistica, probabilmente nemmeno conosceva il significato di parole come cubismo o futurista ma, almeno, di certe cose se ne intendeva. Parole come sensualità, erotismo e alcove, ad esempio.
Flora si accorse del sorriso ironico di Giacomo e, alzando un sopracciglio, gli chiese:
“Hai qualcosa da ridire, tu?”
“Non mi azzarderei mai” rispose. Poi, andando verso la cugina, le sussurrò:
“La maestra in questo campo è lei. Maestra di libidine, per intenderci” e Adele arrossì.
Paola si guardò attorno notando l’assenza di Guido, dileguatosi improvvisamente. Da qualche giorno spariva di continuo e già diverse volte Flora si era lamentata chiedendo a tutti dove fosse.
Fu nel tardo pomeriggio che Guido uscì per andare in paese con la sua macchina, una Isotta Fraschini azzurra col tettuccio bianco. Trovò Adele vicino alla vettura, intenta ad ammirarne la linea.
“Una bella macchina, non c’è che dire” fece sorridendo lei, sorpresa di vederselo comparire improvvisamente.
“Anche la tua non è niente male. Confesso che sei la prima donna capace di guidare che conosco.”
“Beh, anch’io, oltre me, non ne conosco nemmeno una” e si misero a ridere insieme.
Guido si sentiva a suo agio con quella ragazza un po’ timida, forse persino più impacciata di lui, così diversa dalla supponente e prepotente Flora.
Flora. Creatura fantastica, certo, di una bellezza quasi impossibile, come impossibile era il carattere. Viziata, bugiarda talvolta, crudele persino, manipolatrice, seduttrice incalcolabile e, ahimè, meravigliosa amante. Ma quella ragazza bionda, dolce come un biscotto al miele, gentile e amabile, sì, amabile creatura dagli occhi azzurri come il cielo estivo e come laghi di montagna sotto il cielo di agosto, quella ragazza adorabile e di un candore quasi infantile, lo faceva trasalire, gli procurava dei sensi di vuoto, delle piccole vertigini. E tutto questo era maledettamente piacevole.
“Vieni con me in paese?” le chiese con naturalezza.
“Volentieri” e salirono sulla Isotta Fraschini.
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