Il sogno che si trasforma in realtà: un luogo, una storia, un mondo sospeso tra immaginazione e concretezza
(ap) Non sarebbe
bastato un sogno delirante per credere che un piccolo villaggio immaginario
improvvisamente potesse diventare l’emblema di una condizione umana, tra storia
e fantasia. Tanti ricordano con gratitudine il suo inventore ineguagliabile,
Gabriel Garcìa Márquez.
Si sono
riconosciuti in molti nelle allusioni ispirate ad un mondo di fantasia, eppure
così concreto, come Macondo. Luogo esotico, lussureggiante, crudo e irreale,
dove ambientare diverse opere, a cominciare dal suo capolavoro.
Con Cent’anni di solitudine, Márquez ha scritto non solo il libro che gli è
valso nel 1982 il Nobel per la letteratura e che lo ha reso noto in tutto il
mondo. Ma una storia che non finisce di sorprendere, tra mito e realtà,
allegoria e simbolismo.
La grottesca
realtà di Macondo, ripercorsa attraverso le vicende della famiglia Buendía, è
una sorta di percorso tra le ossessioni e le memorie, i sussulti e le
malinconie di ogni epoca. Un microcosmo umano si muove tra eventi eterogenei,
piccole avventure individuali e grandi accadimenti sociali, tessendo la propria
trama.
Che è misteriosa e tragica, scandita dalla ripetitività del tempo, dal
rinnovarsi delle storie. Pervasa da un tono drammatico, e decadente, in cui
emerge la perenne nostalgia del passato, e si manifesta la tragedia di
personaggi combattivi ma votati alla sconfitta.
Una dimensione
che riflette verità e storia, esprimendo il sentire antico della propria terra,
ma che conduce sempre ad atmosfere di sogno. Macondo offre una realtà travolgente
per il lettore, persuaso sin dalle prime battute che quella dei Buendía sia un po’ anche la propria famiglia,
pronto a confondere la propria vita con quella dei molti personaggi, e a
smarrirsi nella loro lunga storia.
Eppure, lui Gabo, come lo
chiamavano in tanti, non mancava, a distanza di anni e dopo tanto successo, di
dirsi sorpreso e stupito che una magia così realistica fosse stata scritta da
“un artigiano” come lui sentiva d’essere. Lui che “non si era ancora ripreso
dalla sorpresa per tutto ciò che è accaduto”: “qualcosa scritto nella
solitudine di una stanza, con ventotto lettere dell’alfabeto e due dita come
intero arsenale”.
Nessun commento:
Posta un commento