Fiori di Filippo De Pisis |
Le prospettive dei giovani, il loro
futuro: un atto di accusa per la società, e per ciascuno di noi
di Marina Zinzani
“Ho
vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non
è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione,
perché sono soggettivi, non oggettivi. Ho cercato di essere una brava
persona, ho commesso molti errori, ho fatto molti tentativi, ho
cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di
fare del malessere un’arte.
Ma le domande non
finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene.
Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui
di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per
l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare,
stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare
la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover
rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le
mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi,
di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è
una grande qualità.
Tutte balle.
Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca.
Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata,
è una dimensione dove conta la praticità che non premia i
talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e
qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità.
Non la posso riconoscere come mia. Da questa realtà non si può pretendere
niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere
di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si
può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente
stabile.”
Michele, 30 anni, si è ucciso. Ha
lasciato questa lettera. La generazione precaria o il futuro rubato: due
definizioni per suggerire una cosa simile. Chi non vede più un futuro, chi
sente la stanchezza di mille dinieghi e non trova un luogo, un affetto, un
lavoro che riesca a dargli dignità e stabilità nel vivere.
Le avversità dei giovani sembrano più dure
di chi è alle nostre spalle, di chi era uscito da una guerra: c’era la voglia
di ricostruire, la possibilità di farlo e la speranza.
Manca la speranza ora, e
c’è la sensazione di tutto già visto, pur essendo ancora giovani. Si può soccombere
a questo mondo duro, soprattutto se non si hanno forti corazze. E le corazze
delle persone sensibili sono fragili.
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