Il
racconto della vita e la ricerca di sé: un viaggio nel silenzio e nell’ascolto.
Bello di per sé
di Mariagrazia Passamano *
“La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, a ripensarci, è proprio un
film rappresentativo dei nostri tempi. È un film senza contenuti. Dove la
bellezza regna sovrana. È puro incanto estetico. Non c’è sostanza. È uno
scorrere lento di immagini. Poi Roma è sempre Roma e quindi da sola (quasi)
capace di far vincere un Oscar. Però, la mia domanda di fondo è: ma cosa voleva
raccontare il regista? Lo scopo narrativo del film qual era?
Eppure stiamo parlando di un uomo con un talento incredibile. Se
ripensiamo ai suoi primi film, tipo a “Le conseguenze dell’amore”, sembra
incredibile che ad un certo punto abbia deciso di inserire il pilota automatico
e di affidarsi solo ai suoi virtuosismi estetici. Purtroppo però questa è una
cosa molto frequente.
Pagine di libri, messaggi, note su pagine facebook mostrano a volte grande bellezza: sono cose
scritte anche molto bene ma che non raccontano niente, senza anima. Da un lato
siamo tutti un po’ storditi dalla tirannia delle immagini, dall’altro non siamo
più abituati a pensare e a pensarci. Se non siamo a lavoro o in giro a fare
shopping, stiamo a casa o con il televisore acceso o con il cellulare in mano a
guardare la vita dei vip su instagram o le foto delle vacanze del nostro
vicino.
E il tempo per non fare niente dov’è? Abbiamo bisogno di
sottrarre. Dobbiamo imparare a togliere, ad asciugare, a rimpadronirci del
nostro tempo, di parte di noi. I contenuti non nascono senza il silenzio, senza
la capacità di sapersi ascoltare. È attraverso la metabolizzazione degli
accadimenti esterni che riusciamo a conoscerci profondamente.
Ciò che ci spaventa è sicuramente il nostro inconscio, quello che
sentiremmo nelle pause, nei silenzi, sui monti, in riva al mare. Fromm la
definiva “la fuga dalla libertà”. Non ha senso fare il viaggio senza scoprire
chi siamo e senza capire di che cosa siamo fatti e cosa possiamo donare di noi
al mondo.
Nello sforzo continuo teso alla scoperta di alcune parti di noi
celebriamo l’anniversario della nostra nascita e ripetiamo il rituale del
venire al mondo. Il nostro dovere reale è quello di salvare i nostri
sogni, la nostra essenza, la nostra verità, il nostro desiderio. Dare un senso
alla nostra vita significa renderla bella, valorizzarla, impreziosirla, darle
una forma, un volto, una consistenza.
La vita infatti di per sé non è né bella né brutta, né giusta e né
sbagliata; la vita semplicemente può avere senso o non averne alcuno. Ma imparare ad essere esattamente cosa
significa?
Il problema è che non c’è una regola, non c’è una via, non c’è un
ricettario, istruzioni, non vi è neanche la certezza di riuscire davvero ad
imparare ad essere se stessi. La vita tutta prende forma nel tentativo, nella
lotta, nella non rassegnazione, nel sentiero che ci può condurre verso la
realizzazione di questo desiderio.
Non c’è un senso allora dal momento che non si raggiunge mai la
nostra essenza? L’errore è proprio questo. L’errore è credere che per essere
felici bisogna prendere possesso del nostro essere. La felicità nasce dalla
ricerca, dalla fedeltà a se stessi, dal rimanere in ascolto. La disperazione è
lontananza dal nostro inconscio, dalla legge del desiderio.
* Scrive sul blog Invent(r)arsi:
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