La
scomparsa di una studentessa, un mondo di segreti e di misteri
di
Paolo Brondi
Quel
mattino senese veniva a rappresentare per Alberto una felice combinazione del
destino in cui ormai del tutto si scioglievano le ombre, i rimpianti, le
perdite, sostituiti dalla tenue luce della rinascita. Nel saldarsi, i due aspetti
della sua professione, le consulenze e la sempre più promettente attività
investigativa, si potenziavano a vicenda: infatti se era bello il gioco
empatico che facilitava il successo terapeutico, lo era straordinariamente di
più il confronto con il mistero della vita e con la magia dei contatti umani.
Giunto
in pasticceria, d’intesa con la testimone per un caso da poco in accertamento, Simonetta,
professoressa liceale, ordinò pasticceria salata e due tazze di cioccolata
calda, quindi scelse uno spazio discreto e la invitò a raccontargli quanto
sapeva su Alessandra. Sorrise e con un lampo di curiosità negli occhi disse:
“Alessandra è stata mia alunna dalla prima alla terza liceo. Nel passaggio dal
ginnasio a Liceo non ha avuto problemi nello studio dei classici, della storia,
della filosofia, e di tutte le altre discipline”.
“Questo
lo so –soggiunse Alberto - lo si deduce dal voto massimo conseguito alla
maturità, ma a me interessano di più notizie su eventuali sue difficoltà”.
“Molto bene - rispose Simonetta - credo che Alessandra, nel quotidiano contatto
con i suoi compagni di scuola, vivesse una sorta di iato fra l’educazione
ricevuta nell’ambito familiare e le complicazioni semplicistiche, noiose e
spesso volgari dei giovani di oggi”.
“Vedo
che è assai severa con i giovani di oggi.”. “La mia non è severità. È piuttosto
l’amara constatazione di quel che la società e la stessa scuola fa ai giovani
rendendoli spesso amorfi e passivi”. “Che cosa vuol dire prof.?”. “Voglio dire
che la società, i media e la scuola fanno vivere ai giovani non il tempo
dell’immaginazione, della speranza, dell’attesa, ma quello esaurito,
mortificato: non solo si espropriano del passato, ridotto a nozioni, ad
immagini museificate, al già fatto, già vissuto, ma anche della stessa
dimensione del futuro, contratto in un presente ossessivo, paradossale, in
quanto scorrimento senza nulla di sé e tutto infuturato per l’urgenza delle
scadenze da rispettare.”.
“Quindi
anche lei, prof, ma mi permetta di chiamarla per nome. Simonetta, operando nella
scuola è coinvolta in queste minorazioni?”. “Sono le mie discipline
d’insegnamento a farmi diversa e a lottare, giorno dopo giorno, contro la
miopia di tanti colleghi e la stasi del sistema”. “ Capisco allora che i
ragazzi, che Alessandra, abbiano avuto in lei un punto di riferimento
privilegiato”
“E’
così, la ragazza, in particolare, si è sempre aperta con me, mi parlava della
sua angoscia per la madre assente, di suo padre che sovente mancava da casa, diceva
che lo faceva per lavoro, ma lei aveva saputo che aveva una relazione e mi
confessava che si rasserenava solo quando, varcate le porte di Siena, tornava
alla sua terra, al chiaroscuro dei suoi colli, ai fiori, alle voci dei suoi
amici animali. Prima ancora di tuffarsi sui libri e sulle materie che pure
amava profondamente, appena tornata a casa, correva sul colle più prossimo per
sedersi sotto una grande quercia, respirando a pieni polmoni la bellezza di
ogni cosa d’intorno”.
“In
queste confessioni, non le è mai sfuggito il nome “ Sibilla?”. “Di questa
Sibilla me ne ha parlato solo dopo i risultati dell’esame di maturità. E’
venuta a trovarmi a casa e mi ha fatto leggere una sua lettera che oggi, sapendo
di incontrarla o meglio di incontrarti, anch’io amo piuttosto il tu!, ho
portato con me!”. Fu solo un attimo e poi tutto si svelò nel leggere la lettera
che Simonetta con occhi velati e mano un poco tremula gli porse:
Ale, mia piccola, dolce Ale, nemmeno
un saluto bruciante in quel fatale giorno dopo il falò di S. Giovanni, neppure
un gesto d’affetto, più pudico che mai, testimonianza della purezza del nostro
sentire, scambiato per colpa insanabile di donna trasmessa alla figlia, disperse,
disgiunte, separate dalla dura realtà di colpevolezza, dal senso di sicurezza raggiunto
insieme nei nostri giovani anni, fioriti di un bene mai più conosciuto, tu
chiusa in un cupo dolore, io ansimante d’amore, ma gettata nell’ombra come
indegno elemento e con la responsabilità di un dramma già sopito e ora rievocato
in mio padre. Ricordi quell’uomo, quegli occhi che tanto ti hanno
spaventato…era mio padre. Tornato dall’ombra di tanti anni lontano da me, dai
miei passi ancora incerti, dai miei silenzi di piccola bambina, dai miei perché
di ingenua adolescente, dalla mia vita. Era mio padre.. Un padre scosso da
profondi contrasti e pronto a rimedi più drastici: farmi scomparire alla vista
di tutti, contenere la mia ansia d’amore, dirottarla verso un altro destino
diverso da quello di mia madre, lontano da quel borgo, da te.
“Fuggire, .per il tuo bene..” - mi
diceva- “per impedirti di ripercorrere fino in fondo un sentiero di lacerante
dolore per te, per me. Il sentiero percorso da tua madre, amante da anni, senza
che mai me ne fossi accorto, della sua collega, la “caposala” in Ospedale”! Una
rivelazione terribile e distruttiva di ogni incanto. E poi il mio silenzio
abulico, impotente. Il silenzio del morire ogni giorno. Il silenzio della morte
che già vedevo come residuo destino e mi sono lasciata portare via. In un
viaggio lungo, quasi metafora della morte, in un tutto vuoto, senza senso. Mi
sono trovata, quasi senza accorgermi, in Sicilia. Vicino a Catania, qui mio
padre ha una casa, lasciatagli dai suoi genitori. Ed ha trovato anche lavoro.
ha comprato un barcone e fa il pescatore e per me tutto è tornato al senso
usato, appiattito nella monotona e fredda cadenza delle ore.
“Chi mi ha ridestato dall’insania di
questa tragicità sono state le ricorrente folate di immagini, sempre pure e
belle, come vele al vento spiegate in un mare appagato dal sole e dal tepore
della luna, di te e di me, che si cresceva unite, entrambe diminuite di un vero
e profondo affetto materno, entrambe assetate di un affetto non morboso, non
peccaminoso, ma raffinato nel dispiegarsi e sostanziarsi di tutti i suoi
attributi.. Non ti ho sentita come mia amante, non sento di assomigliare in
questo a mia madre che, ancora oggi vive con la sua amante. Non più a Siena.
Ma, ora riesco a leggere meglio quel che ci è accaduto, come unico segno di
quella suadente e gioiosa esaltazione della nostra giovinezza, proiettata in
minimale gestualità, euforizzata dal nostro stare bene insieme, anelante
sentimenti da altri negati. Ho poi ripreso a studiare. Frequento l’Università a
Catania e appena laureata mi metterò ad insegnare.”.
Questa, mia piccola Ale è la parabola
della vita, che ora ci apre alla speranza, ora ci lascia la pelle dissecata sul
deserto degli addii, ora ci fa tornare a sognare dolci momenti su un’isola
felice. Questa mia lettera, dopo tanto tempo, è come la nebbia che voglio si
apra per te, trafitta da quel raggio di sole che è tutto il bene che sempre ti
voglio e ti avvolge senza posa.”
Gli
occhi di Simonetta e di Alberto si incrociarono ed entrambi, in silenzio,
condivisero tutto il dramma vissuto dalle due giovani. Si ripresero,
continuando a dialogare: “Simonetta, certo avrai saputo che Ale è scomparsa quando
ti ha consegnato la lettera ti ha chiesto consiglio?”. “Sì. So che è scomparsa,
ma non temo per la sua vita. Mentre leggevo la sua lettera, lei piangeva e ho
cercato di consolarla dicendole che addentrarsi in quella vicenda era stato
bello, ma poteva anche andar oltre, in quanto, ormai donna, non doveva in alcun
modo rinunciare alle diverse possibilità del proprio futuro”. “E’ vero, eppure
altra e diversa è stata la sua volontà. Credo che anche tu convenga che da
quella stessa lettera si può ricavare la motivazione della sua scomparsa e il
luogo in cui cercarla!”.
“E’
vero. È probabile che sia così, che Ale sia fuggita per raggiungere Sibilla.”. Intanto
l’ora libera di Simonetta stava per scadere. Si alzò esclamando “Dio mio, il
mio tempo libero si è esaurito. Devo proprio scappare, i miei alunni mi
attendono.”. La riaccompagnai fino al portone della scuola e crescente era il
desiderio di rivederla, illuminato dal suo incantevole sorriso. Lei un poco
esitò ad entrare. Si girò verso me. Sorrise, mi abbracciò e mi sussurrò “Fammi
sapere. Quando l’avrai trovata, ti aspetto!”.
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