Da Sofocle a Shakespeare, da Calderon de la Barca a
Pirandello, Cechov, de Filippo. Il teatro è
arte dalle molteplici forme espressive, che
ha mantenuto il significato di una “rappresentazione”. Coinvolge autori, personaggi, spettatori. Ogni volta, in scena, si compie il rito di evocare il senso della vita
(ap) La parola, il gesto, il canto,
la danza. Una performance per volta oppure in combinazione. Il “teatro” è
insieme visione e spettacolo, partecipazione e favola. Utilizza strutture
narrative differenti e lungamente studiate, ma non è refrattario ai suggerimenti
del caso, spesso all’estro del momento. Arti e discipline varie talvolta si
mescolano, per realizzare un evento dal vivo, prima di essere riprodotto a
distanza.
Nelle sue multiformi manifestazioni,
il teatro è all’origine di ogni avvenimento umano in cui si compia una
“rappresentazione”. Ove sulla scena si sviluppi lo sforzo di riprodurre
elementi che hanno origine lontana. Lo stesso artificio a ben vedere di tanti avvenimenti
moderni: il cinema, la tv, per non dire i social. Tanto che, nell’antichità, la
verità di quanto si svolge sul palcoscenico ha innanzi tutto una valenza sacra,
attesta dei misteri, raffigura in forma di spettacolo un valore che non è analogico,
ma mistico, rende presenti tra gli umani forze oscure e lontane.
Davanti al pubblico, si realizza un
intreccio di gesti, parole, vocalità e suoni, per creare un evento, che è testimonianza
di altro e non solo di sé. Impossibile guardare al teatro in un solo modo. Non
vedere il teatro nel teatro e l’esistenza attraverso la rappresentazione
scenica.
I lavori sono rivolti al pubblico ma
anche costruiti dall’autore per sé, come personale ricerca di significati, in
un gioco di specchi tra testo e recitazione, palcoscenico e tavolo di
scrittura. Una sorta di autoanalisi spinge il drammaturgo a proporsi attraverso
l’opera. Ma non è semplice biografia. La recita in sala esalta i diversi piani,
mescolando l’esistenza propria dei personaggi rappresentati, l’azione scenica
degli attori, i propositi dell’autore oltre le quinte. Voci che si intrecciano,
tra verità e finzione, armonia e contrasti.
E’ l’eterno dilemma di Stasera si recita a soggetto di Luigi Pirandello, con i diverbi
tra regista e attori mescolati al pubblico sulla possibilità di recitare senza
un copione stabilito per dare libero sfogo alla propria interiorità, metafora
dell’eliminazione di ingannevoli infingimenti e schemi rigidi.
Oppure il riconoscimento che nella
vita gli uomini recitano un ruolo, per dovere o per scelta, come suggerisce El gran teatro del mundo di Pedro Calderón de La Barca:
il re o il contadino, il povero o il ricco. Finendo per rappresentare in ogni
caso una parte, dalla culla alla morte. Il teatro non è specchio deformante
della realtà, ma svelamento della sua essenza segreta.
Non sempre è necessaria la presenza
di un testo, come nella prosa, e del resto la parola può essere declinata in
forme differenti, come nella lirica, nella canzone, nel teatro dei burattini, o
trovare assoluta sublimazione nei gesti della danza. Comunque è rappresentazione
teatrale.
Spetta all’attore il compito arduo
d’essere singolare sacerdote di un rito, che è profano ma rivestito di
sacralità anche oggi che il teatro non è più veicolo di comunicazione con il
cielo. Strumento della trasmissione di un messaggio che non proviene
direttamente dalla persona fisica dell’attore e che spesso gli è persino
estraneo o nemico, costringendolo a una continua faticosa ricerca di senso.
Dall’ignoto al noto, e visibile e percepibile da tutti gli spettatori che
partecipano all’evento: il percorso che si rinnova ogni volta, sempre diverso.
L’uso della trasposizione è
transitata in mille altri contesti, più moderni ed attuali, in cui però è
sempre lo stesso il meccanismo messo in campo da un qualsiasi punto di
partenza, può essere un personaggio, un’immagine, una semplice cosa. E’ chiesto
loro di trascendere da sé, dalla specificità della persona o dalla materialità
della cosa, perché si tratta sempre di un simbolo, un semplice strumento per
raccontare storie ed suggerire immagini. In questo modo le persone fisiche degli
attori si propongono all’attenzione degli spettatori; e gli oggetti sono offerti
in visione. Che siano persone o cose, valgono non tanto “per sé”, quanto “per
altro”.
Significano sentimenti e
ragionamenti, che rimandano a realtà differenti, e appartengono a persone o
cose esistite in altro momento o luogo. Illustrano qualcosa di diverso rispetto
alla loro natura. Un processo di astrazione dalla realtà che perpetua in forma
moderna l’antico uso delle maschere come espressione di distanza, di separazione
dalla vita corrente.
Il significato di questa «finzione»
sembra quasi più forte nella storia del teatro italiano, come è sottolineato dall’espressione linguistica. C’è
una differenza di parole, in Italia e altrove, per indicare il medesimo atto
della rappresentazione scenica. Il teatro è “recitazione” in italiano, mentre
in altre lingue è indicato con termini che richiamano il concetto di gioco,
come to play in inglese, o jouer in francese, o infine spielen in tedesco.
Un’ambivalenza che crea continua
oscillazione, inquietudine e contraddizione in chi – attore o attrice – è
protagonista della rappresentazione su un qualsiasi palcoscenico: quelli di
poche pretese in periferia o gli altri, maestosi, della grande città. Un
disagio che può diventare negli attori contraddizione, scissione della personalità,
oscillazione continua tra imitazione servile e trasgressione fantasiosa.
Nei teatri, hanno un respiro il
legno delle strutture e i broccati delle scene, i pesanti tessuti sul palco e
in sala; cigolano le tavole negli stretti corridoi che conducono ai camerini, ci
si sente avvolti da luci e penombre, sorpresi dai silenzi. Il mestiere ha il
suo scenario che sembra uguale a sé stesso mentre è sempre così diverso. Ogni
volta si definisce l’ambiente in cui tutto accadrà. Sono comunque le parole pronunciate
dai protagonisti a vivere di vita propria. Per rievocare memorie, svelare
storie, raccontare avvenimenti lontani.
La recita colpisce l’immaginazione,
fa riflettere, diverte. L’attore, mentre segue il copione, mette in pubblico sé
stesso, diventando pure lui spettatore della sua voce e di ciò che rappresenta.
Esposto alla contraddizione di essere qualcosa e di apparire altro, una
ambiguità che è alla base delle più grandi tragedie rappresentate in scena.
Come quella, senza spiegazione logica, che tormenta l’Amleto di William Shakespeare.
“Essere un personaggio”, seguire il
filo della propria fantasia: è la magia che si realizza sulle tavole del
palcoscenico. Immerso in un presente uguale e differente, l’attore dà vita al
più incredibile e lacerante dei riti, essere sé stesso e nel medesimo tempo un
altro. Lasciando lo spettatore con il suo dubbio: è proprio cercando di
diventare un altro che si riesce a capire meglio chi sei?
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