Il
dialogo, immaginario, tra una terrorista in carcere e sua madre: il sangue, le lacerazioni familiari, il dilemma
delle coscienze. Il sangue innocente come prezzo delle scelte
di Maria Cristina Capitoni
(Commento a Uccello in gabbia, PL, 11/10/19, con un'introduzione di Angelo Perrone)
(ap) Gli
anni passano dunque, ma non troppo. Rimangono le ferite, i ricordi. Tanto altro
che riesce doloroso raccontare, far riemergere dal buio della memoria. E magari
della coscienza. Per chi ne conservi delle tracce nella propria carne, o
semplicemente nella mente di semplice cittadino.
Qualche
notizia torna a scuoterci per un momento: è scandaloso che anche i terroristi
possano beneficiare del reddito di cittadinanza, come fa ogni mese Federica
Saraceni condannata in via definitiva per l’omicidio D’Antona? O magari è
giusto che mafiosi, o, ancora, terroristi, irriducibili possano ottenere benefici
penitenziari che rendano vano l’ergastolo inflitto tornando in circolazione senza
aver reciso i legami col passato?
Dilemmi non confinati
alle stagioni del passato, ad epoche lontane, o sconosciute; ci coinvolgono
tutti nel profondo. Ci mostrano quanto possano essere radicalmente sbagliate
certe scelte di vita, quando a prevalere è la lucida e consapevole follia. Ci
costringono a fare i conti con il sangue innocente. Lo vediamo scorrere oggi,
come in passato: un dramma che sembra parte così integrante e oscura della
nostra storia.
Inquietudini
e domande che attraversano le grandi vicende, e le singole storie personali.
Dei carnefici e delle vittime, o meglio dei loro parenti e amici. Impossibile
non sentirsi toccati. Coinvolti nel profondo. E non stare dalla parte dei
giusti.
Un dialogo
solo immaginario, eppure così realistico, alterna su queste Pagine le voci di
una terrorista in carcere che scrive alla madre (Uccello in
gabbia, PL, 11/10/19), a quella di quest’ultima, che qui
prova a risponderle. Il legame di sangue non basta a riavvicinare mondi tanto
diversi, a riallacciare i fili del dialogo, a attenuare il bruciore dei
patimenti.
Daniela cara,
tuo padre non è morto di dolore né di vergogna come
sostiene tuo fratello, tuo padre ha smesso semplicemente di esistere quella
mattina che ti portarono via al grido "Aprite Polizia", restando attonito
di giorno e piangendo in silenzio la notte per il resto dei suoi giorni.
Mi fa piacere che tu legga molto, lavori e che scriva
anche un libro, sei fortunata, c'è chi non può più farlo.
Io questi anni, che non ci siamo più viste, li ho
condivisi con le mogli di quei mariti che un bel giorno non son più tornati, ho
conosciuto figli, senza padri, che son cresciuti senza far troppo rumore;
questa Italia l'ho vista nascere e crescere prima, durante e dopo di te, dopo
di voi e ti garantisco che il vostro contributo si esaurisce nei contenuti dei
tanti articoli di cronaca nera che riempivano i quotidiani di quegli anni.
Non credere: non siete così scomodi, non più di
quanto non lo siano gli assassini comuni, forse questi anni là dentro ti hanno
fatto perdere il contatto con la realtà, quella vera, fatta di tante persone
che la mattina si alzano presto per andare a lavoro.
Non ti crucciare, vedrai che tra non molto sarai
fuori e potrai finalmente pubblicare il tuo libro.
La sera prima dell'arresto ti chiesi a che punto eri
con gli esami, quando avremmo potuto festeggiare questa laurea, il nostro sogno
che credevamo fosse anche il tuo, mi dicesti "mamma, ci sono cose più importanti
di un pezzo di carta". Adesso io ti domando: cosa era più importante? Un
libro sulle Brigate Rosse?
Ti abbraccio forte.
Mamma
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