Il fine settimana di chi, per mantenersi agli studi, fa piccoli lavori
precari: oltre la fatica, la curiosità verso il mondo così vario che ci scorre
davanti
di
Laura Maria Di Forti
Sono
Massimo, studente universitario fuori corso e fuori sede. Avrei tanto voluto
fare la vita dello studente che pensa solo ad ottenere il voto più alto e a
ritagliarsi delle serate di festa in qualche pub in compagnia degli amici, ma
purtroppo i soldi che mensilmente mi inviano i miei genitori non sono mai
sufficienti.
Pertanto, ho risolto il mio problema con uno stratagemma: studiare tutta la settimana e lavorare il sabato presso un grande bar del centro e racimolare, così, un gruzzoletto da gestire per mio conto.
Pertanto, ho risolto il mio problema con uno stratagemma: studiare tutta la settimana e lavorare il sabato presso un grande bar del centro e racimolare, così, un gruzzoletto da gestire per mio conto.
I
miei genitori credono che il sabato sia il giorno dedicato al divertimento, e
invece per me è la giornata dello sgobbo.
Il
sabato mattina mi reco al bar molto presto, alle sette sono già al lavoro e
preparo caffè e cappuccini, caldi, freddi, shakerati, li preparo con diligenza,
caffè e cappuccini buonissimi, con la giusta crema, con la panna, anche
decaffeinati, li preparo e li poggio sul bancone. Poi sistemo lo zucchero, le
bevande e infine mi preoccupo di riempire la lavastoviglie con le tazzine
sporche.
Ma
col tempo ho capito che il sabato è anche la giornata della conoscenza, e non
parlo di libri e dispense, parlo di gente. Il sabato vengo a contatto con tante
persone, una diversa dall’altra. Ci sono quelle che entrano nel bar e mi
sorridono prima di ordinare, ci sono altre che serie serie, forse anche un poco
di malumore, si mettono a bere il loro caffè senza neanche guardarmi, e ci sono
altre ancora che mi credono un amico, un confidente magari, e allora mi
raccontano tutta la loro vita. A puntate, magari.
Gli
avventori del bar sono quasi sempre gli stessi, in fondo è un bar di quartiere
e conosco a memoria le preferenze di ognuno di loro. Anna, la proprietaria del
negozio di biancheria all’angolo della via, ormai non mi dice più nulla, ma
entra sorridendomi ed io so già che devo prepararle un doppio caffè e una
brioche con panna.
I
coniugi Franchini arrivano sempre trafelati, di corsa ordinano un caffè e di
corsa lo bevono. Poi c’è il Maestro, un professore di musica che viene a metà
mattina e ama il caffè corretto, la figlia del direttore di una grande clinica che
compra solo ciambelle alla crema e un signore anziano, molto distinto, che entra
con la moglie, la fa accomodare al tavolinetto in fondo alla sala e poi ordina
due cappuccini e due brioche.
Il
sabato pomeriggio, invece, sono al banco dei gelati e i bambini sono i miei
migliori clienti.
Una
volta una bambina di non più di quattro anni ha voluto un cono gigante con tre
gusti: fragola, pistacchio e cioccolato al latte. È uscita dal bar con questo
gelato che sembrava più grande di lei e per tutta la serata ho pensato a lei
chiedendomi se fosse riuscita a finirlo tutto.
Un’altra
volta un bambino molto vivace ha rovesciato il gelato sulla testa del
fratellino che, invece di mettersi a piangere, ha cercato di prenderlo con le
mani e mangiarlo. I genitori credono abbiano vissuto uno dei momenti più
deliranti della loro vita genitoriale.
Poi
c’è una ragazza che viene tutti i sabati verso l’ora di chiusura e ordina un
caffè. Sono mesi che la osservo. È bellissima, con tanti riccioli castani e
degli orecchini che tintinnano ad ogni suo movimento.
Sabato
scorso mi sono fatto coraggio e, nel poggiare la tazzina del caffè sul bancone,
le ho chiesto:
“Ma
poi riesci a dormire?”
Lei
allora mi ha detto con la sua voce calda e melodiosa, la voce di un angelo:
“Certo,
l’importante per dormire è essere felici.”
Allora
l’ho guardata negli occhi, due occhi verdi con infinite pagliuzze dorate, e le
ho chiesto come si fa ad essere felici e lei mi ha sorriso, un sorriso dolce
come miele, un sorriso che sa di mare e di corse sulla spiaggia, di infinito e
di paradiso, e mi ha risposto:
“Io,
per essere felice, vengo qui a prendere un caffè. Ma solo il sabato, quando ci
sei tu.”
Allora
le ho chiesto il suo nome.
“Annalisa”
mi ha risposto.
Annalisa, continuavo a ripetere nella mia
mente, ormai soggiogato dalla bellezza di quel viso.
“Io
mi chiamo Massimo” ho detto. No, l’ho sussurrato, forse perché avevo paura di
gridare dalla felicità.
È
stato il sabato più bello della mia vita.
Domani
è di nuovo sabato e andrò al bar a lavorare. Incontrerò tante persone, la
maggior parte sono ormai degli amici o, quantomeno, dei conoscenti a cui sono
molto affezionato. La mattina preparerò le colazioni e il pomeriggio riempirò i
coni di buon gelato artigianale, ma la sera attenderò l’arrivo di Annalisa e
poi andremo a fare una passeggiata lungo il fiume, mano nella mano, come due
innamorati.
Forse
è un bene che abbia avuto la necessità di lavorare per mantenermi agli studi:
ho incontrato tanta gente, ho conosciuto le loro abitudini, la loro vita
raccogliendo talvolta qualche confidenza, ma soprattutto ho conosciuto lei, Annalisa.
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