Storia di Giulia, 19
anni, dopo la morte dei genitori in un incidente stradale: il dolore, la
solitudine, l’impossibilità di dimenticare
di Laura Maria Di Forti
Mi chiamo Giulia e ho
solo diciannove anni. Sono tanto giovane ancora, è vero, eppure ho conosciuto
il dolore, la sofferenza per la perdita dei miei genitori. Il dolore, certo. Non
fisico, ma nel cuore, i sentimenti feriti, annientati. No invece, questo dolore
è anche fisico, perché mi costringe a raggomitolarmi per difendermi,
risparmiandomi, senza nemmeno riuscire anche solo a ripararmi.
E come si può rimanere
intatti, anche solo interi ma ammaccati, sdruciti, accoltellati, dopo la
perdita di quelle due persone che ti hanno dato la vita, ti hanno cresciuto,
accudito, ti hanno plasmato, educato, curato, ti hanno insegnato, nutrito, ti
hanno preso e ti hanno amato? Soprattutto, ti hanno amato.
Un incidente ha ucciso i
miei genitori istantaneamente, in un secondo che rimarrà eterno e ora sono
sola, sola come un ramingo perso nelle foreste selvagge, un eremita dimenticato
sulla vetta di una montagna, un naufrago abbandonato negli abissi dell’oceano.
Di questa solitudine non
parlo quasi mai e non me ne lamento, né con parenti né con amici, ma lascio che
ognuno immagini i miei tormenti. Alla fine tutti loro hanno finito col
dimenticare.
Io no, non posso. E
allora vivo col fantasma della presenza muta eppure assordante di un padre e di
una madre che, forme invisibili, attraversano giornalmente la mia esistenza.
Io conosco alla
perfezione il dolore. L’ho sperimentato, l’ho vissuto, me ne sono immersa, l’ho
esaminato sotto ogni angolazione e ho osservato ogni sfaccettatura, ogni
singolo maledetto anfratto di quel dolore.
Non si dimentica. Mai.
Non si può dimenticare.
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