Essere persone entusiaste
o meno. I tanti volti di uno stato d’animo molto dibattuto
di Paolo
Brondi
Ci sono forme di fanatismo,
intolleranza, prepotenza di chi crede di aver sempre ragione. Sono gravi
difetti, pur espressi con un sentire apparentemente innocuo: l’entusiasmo. E’
un sentire che, spesso, può abbassare i normali freni inibitori favorendo gesti
e atti inconsulti lesivi di se stessi e degli altri, come sono quelli ispirati
al fanatismo islamico.
E’ nel XVII e XVIII secolo che
all’entusiasmo si attribuisce una sostanziale negatività: lo si considera
causato da fantasie infondate del cervello, un fuoco abbagliante che acceca
ogni conoscenza. Le guerre civili inglesi, dal 1642 al 1660, e le atrocità che
le accompagnarono, sono attribuite proprio all’entusiasmo della plebaglia e al
conseguente fanatismo religioso.
Già all’inizio del settecento,
Shaftesbury, con la sua “Lettera sull'entusiasmo” (1708), metteva in guardia gli uomini
contro tali pericoli, negando valore all’entusiasmo a favore del tollerante
senso dello humour.
Mentre, nel ‘500, con Giordano Bruno nell'opera “Degli
eroici furori”, si distingue l’entusiasmo “religioso", segnato dalla presenza
di Dio dentro di sé, dall’entusiasmo “naturale”, quel fervore che accresce la
facoltà razionale del filosofo alla ricerca della verità. E’ la distinzione
classica, tradizionale, con Platone e Aristotele, i quali ammettevano la doppia
valenza dell’invasività divina: o per favorire la creatività artistica, o per
ingenerare la follia.
Questo dilemma è presente lungo tutta
la storia del pensiero, giungendo fino a noi, connotando la qualità, ora
tragica e perversa, ora promettente, della nostra cronaca. L'entusiasmo
moderato dalla ragione, osserva Immanuel Kant, produce effetti benefici, è una
nobile fantasticheria che permette di superare molte difficoltà ma è pericoloso
nella religione.
Fiedrich Shelling assimila l'entusiasmo
alla follia: la ragione è follia regolata; l'entusiasmo, come eccesso passionale,
sfuggito alla ragione, è follia. Nel XX secolo Karl Jaspers distingue l'entusiasmo
dal fanatismo inteso come una patologia esprimente un'idea fissa, e giudica
positiva l'azione dell'entusiasmo, poiché attraverso di esso ci sentiamo
assorbiti in una visione sentimentale del mondo nella sua interezza e
complessità.
Giacomo Leopardi distingue fra l’entusiasmo
che nuoce, o piuttosto impedisce l’invenzione, e l’entusiasmo che giova all’esecuzione,
riscaldando il poeta, ravvivando il suo stile, aiutandolo a comporre tutte le
parti dell’opera, “le quali tutte facilmente riescono fredde e monotone quando
l’autore ha perduto i primi sproni dell’originalità”.
Nella psicologia di molti interpreti attuali,
fa capolino l’entusiasmo, per ricorrenti manifestazioni di eccitabilità, di
avventurosità, dell’essere indaffarati in molte attività, con l'energia dell'eterno
ragazzo (la sindrome dell’eterno Peter Pan) che passa da un'attività all'altra,
senza mai approfondire nulla, per il timore di rimanerne deluso.
La riflessione sull'entusiasmo, dottissima e organica pur nella sua (relativa) brevità, mi trova completamente d'accordo nel suo modo di sottolineare le insidie insite in inebriamenti che posso portare ad esiti molto, molto pericolosi.
RispondiEliminaFrancesco Gozzi
Le ragioni di Peter Pan' sono motivo di grande e fortissima riflessione anche scolastica. Il suo excursus molto attento e profondo, ci presenta i lati positivi e non dell' entusiasmo.
RispondiEliminaSe si tratta di zelo positivo, come farebbe pensare la stessa radice del termine contenente la parola theos, può avere accezione di gioia interiore, ammirazione, interesse per un qualcosa di buono.
Ma se questo entusiasmo penetra nel profondo e altera il buon senso, si può mettere sullo stesso piano con eccitanti come stupefacenti, provocando allucinazioni e alterazioni del vero.
Dunque le situazioni possono essere ambivalenti e noi dovremmo spiegare ai nostri discenti la differenza esistente nel nocciolo del termine stesso, poiché a loro è di più facile comprensione la valenza positiva.
Cristina Podestà