Orchi, maghi cattivi e streghe paurose:
il popoloso mondo delle fiabe, che ci accompagna anche da adulti
di Gianantonio
Tassinari
Il vecchio gobbo deforme, avvolto in un consunto pastrano
nero, con il volto semi-nascosto da un lungo cappello a larghe falde e dalla
fluente chioma ingrigita che lo incorniciava, procedeva nel buio della notte
portando un sacco a tracolla. Solo il fioco chiarore della lucerna gli
permetteva di orientarsi mentre si faceva strada impugnando un lungo bastone nodoso.
Di tanto in tanto emetteva un suono sinistro dalla
bocca storta che teneva socchiusa: era una specie di risata stridula che gli veniva
dal cuore, anzi dalla pietra che ne aveva preso il posto. Pregustava già
l’impresa scellerata alla quale voleva dedicarsi in quella notte di luna piena.
Gli sembrava di veder scorrere di fronte agli occhi torvi e cupi tutta la scena
cruciale del rapimento della bambina che aveva ideato fino dall’inizio della
settimana.
Si trattava di Flora, la piccola ed esile figlia
del fabbro del villaggio situato in fondo alla strada del bosco, quello
popolato dalle streghe, proprio dove dimorava il gobbo misterioso. Il terribile
vecchio si recava spesso al villaggio e aveva notato tante volte la piccola
Flora recarsi a scuola. L’aveva seguita da lontano mentre, andando con altri
bambini, salterellava allegramente facendo ondeggiare la cartella nella mano.
Flora era la più bella di tutti, di una bellezza semplice
e delicata, accentuata dal perenne sorriso e ravvivata dai brillanti occhi
color acquamarina. Flora era anche molto vivace, spesso si staccava dai
genitori per andare a tirare la coda ai gatti e talvolta disubbidiva loro. Ma,
tutto sommato, non oltrepassava mai i limiti di una fisiologica disubbidienza
che connota spesso il comportamento dei piccoli.
Quando si recava nel villaggio, il vecchio deforme si
nascondeva per paura di essere scoperto. Allorché vedeva passare Flora,
articolava le labbra sottili che si aprivano al disotto del lungo naso storto,
emettendo un sibilo di soddisfazione e spalancando gli occhi cattivi per il
desiderio di mettere le mani sulla bambina, poi lasciava uscire il solito risolino
stridulo e acuto, simile al verso di un uccello notturno.
Il gobbo voleva rapire Flora per portarla nella sua
squallida dimora, simile a una spelonca, dentro il fitto bosco di querce e noci,
in un luogo quasi inaccessibile, e farne la sua cameriera, anzi la sua schiava.
Pensava di rapire anche altri bambini, ma solo in seguito, quando la larga eco
che l’improvvisa sparizione di Flora avrebbe suscitato nel villaggio fosse a
poco a poco venuta meno. Il tristo vegliardo pensava di circondarsi nel tempo
di tanti piccoli schiavi, da tenere prigionieri nel suo tugurio, per farsi
servire tutta la vita. Li avrebbe fatti vivere avvinti a catene, perché non
fuggissero, e di notte li avrebbe voluti addirittura rinchiudere nella stalla
vuota dentro a gabbie anguste.
Aveva pensato di rapire la piccola nella sua casa,
di notte, mentre tutti dormivano. Ma non sapeva come fare ad entrare nella casa
del fabbro, le cui serrature erano molto robuste. Si era allora rivolto alle
streghe del bosco che gli avevano donato il vincastro lungo e nodoso, dalle
proprietà magiche. Il bastone, semplicemente accostandolo all’uscio, avrebbe
aperto tutte le porte della casa in cui il vecchio volesse penetrare, ad
eccezione di una: la porta della stanza da letto della bambina.
Le streghe gli avevano facilitato l’impresa regalandogli
il bastone magico per ottenere una contropartita in cambio. Pretendevano una
tazza colma del sangue della piccola e una ciocca dei lunghi capelli biondi. Tutto
ciò sarebbe servito loro per compiere certi rituali satanici nella notte di
Valpurga. Infine avevano rivelato al vecchio che, per entrare nella stanza di
Flora, egli avrebbe dovuto recarvisi una notte di luna piena e bussare tre
volte alla porta recitando una formula magica. Così la porta si sarebbe aperta e
il rumore del legno e il cigolio dei grossi cardini avrebbero taciuto senza svegliare
i genitori. Il vecchio aveva accettato con crudele compiacimento di offrire
quella contropartita appena avesse messo le mani su Flora, certo che il dono e i
consigli delle streghe gli avrebbero permesso di non fallire il suo piano
maledetto.
Il vecchio proseguiva il cammino verso il villaggio
quando, da lontano, vide improvvisamente due piccolissime luci gialle venire
verso di lui. Non ebbe più dubbi quando sentì, poco dopo, un ululato
agghiacciante: si trattava di un lupo che si avvicinava. Il vecchio non aveva
paura della bestia. Pensava che tra essere malvagi non vi potesse essere alcuna
possibilità di contrasto, ma casomai vi fosse occasione di collaborazione.
Quando il lupo fu in prossimità del gobbo disse:
«Dove vai questa notte di luna piena?».
Il vecchio pensò che si trattasse di un lupo
mannaro e gli chiese: «Sei per caso un uomo-lupo?».
«Certo» - replicò - «ma io ti ho chiesto di dirmi
dove vai».
«Vado a rapire Flora, la figlia del fabbro del
villaggio».
Poi, pensando un attimo, il gobbo soggiunse: «Mi vorresti aiutare?».
«Come posso farlo?».
«Potresti restare di guardia alla casa del fabbro
mente io vi entrerò. Se per caso qualcuno si avvicinasse dovresti ululare e, qualora
non bastasse, anche ringhiare e abbaiare. In tal modo starei in guardia e mi
preparerei cautamente prima di uscire con il fardello sulle spalle. Qualora ti
riuscisse di metterlo in fuga, sarebbe tanto meglio. Altrimenti aspetterei che se
ne andasse» - spiegò il vecchio.
«Credi forse che sia un cane da guardia?» - lo
apostrofò il lupo mannaro.
«No di certo» - rispose l’altro. «Avrei solo
bisogno di aiuto» - concluse.
«Penso che lo farei solo a una condizione» -
riprese l’uomo-lupo.
«Quale sarebbe?» - chiese il gobbo.
«Dovresti farmi mangiare un pezzo di carne del
corpo della bambina» - fu la risposta.
«Va bene» - concesse il vecchio malvagio. Riteneva
infatti che, dopo tutto, la bambina avrebbe potuto servirlo anche avendo
perduto un pezzo di carne e un poco di sangue.
«Affare fatto allora!» - fu il suggello del lupo a
quel patto terribile.
I due si incamminarono verso il villaggio nel
silenzio della notte. Pareva quasi che ogni creatura notturna avesse avvertito
la loro presenza e si fosse nascosta per il timore di incontrali e, persino, di
vederli passare.
Flora era a letto addormentata.
I due esseri sinistri giunsero infine al villaggio.
Lo percorsero tutto e arrivarono alla casa del fabbro. Il vecchio disse al lupo
di attenderlo e appoggiò il vincastro all’uscio d’ingresso. Questo si spalancò
da solo senza fare rumore. Il gobbo salì le ripide scale arrancando e si
arrestò di fronte alla porta che separava il pianerottolo dal corridoio su cui
si aprivano le camere da letto. Anche questa si aprì appena fu toccata dalla
punta del lungo bastone.
Il vegliardo malvagio sentì russare forte in una
stanza. Quindi si fermò alla porta di fronte pensando si trattasse della camera
da letto di Flora. Bussò tre volte, con tocchi scadenzati che risuonarono
profondamente nel silenzio della casa e declamò la formula magica.
Flora avvertì i tre rintocchi e, inconsapevolmente,
si coprì il volto con il lenzuolo e la coperta, nascondendosi in quel rifugio.
Le parve di udire ancora un rintocco. Fu allora che
si svegliò all’improvviso, tutta sudata e con i capelli arruffati, tremando e gridando
aiuto. Alla luce dell’abatjour vide la mamma che aveva una mano appoggiata
sulla coperta, sopra la sua spalla, e le disse: «Flora è ora di alzarsi, devi
andare a scuola. Che ti succede?».
Flora accolse quell’invito materno come una grande
liberazione dall’incubo del sogno spaventoso che l’aveva terrorizzata. Non
rispose alla mamma, ma si alzò, indossò la piccola vestaglia e scese la scala.
Una volta giunta in cucina notò due cose: la tazza di latte fumante che
l’attendeva e il vecchio libro di fiabe ricoperto di cuoio nero fermo sul
ripiano della credenza. Era il libro che preferiva e allo stesso tempo temeva,
secondo i casi. Quando la mamma leggeva storielle amene le piaceva ascoltare.
Ma quando le venivano lette storie paurose e inquietanti, come quelle udite la
sera prima, Flora si turbava profondamente e brividi di terrore le gelavano la
schiena. La mamma leggeva queste ultime fiabe quando la figlia era stata disubbidiente
o aveva trasgredito qualche regola impostale dai genitori.
Certe storie dovevano servire come monito affinché
Flora smettesse di comportarsi come non doveva. La mamma cercava sempre di
farle capire che la disubbidienza avrebbe potuto condurre a conseguenze
spiacevoli per lei e talvolta le diceva pure che avrebbero potuto accaderle
fatti terribili come quelli raccontati in quelle fiabe.
Quante volte era accaduto che Flora disubbidisse e
quante volte la madre l’aveva ammonita servendosi di quelle storie paurose … Chissà
quante volte altri bimbi di chissà quali luoghi avranno udito raccontare dai
loro genitori o dai nonni altrettali storie terribili e angoscianti,
interiorizzando nell’inconscio timori profondi che, a stento, sarebbero
riusciti a rimuovere, o che spesso, anche in età adulta, sarebbero ritornati alla
mente, richiamati da qualche involontario e innocuo accenno ad alcuna delle situazioni
descritte nelle fiabe oppure a chissà quali parole in esse ricorrenti.
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